Roma, insulti e divieti alla figlia: a processo papà e moglie. L’inferno è durato per cinque anni

Roma, insulti e divieti alla figlia: a processo papà e moglie
Non poteva uscire da sola con i compagni di scuola, né vestirsi come voleva, altrimenti sarebbe stata punita con schiaffi e insulti: la casa in cui viveva era ormai...

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Non poteva uscire da sola con i compagni di scuola, né vestirsi come voleva, altrimenti sarebbe stata punita con schiaffi e insulti: la casa in cui viveva era ormai diventata come una gabbia, un luogo di dolore e sofferenze. Non le era consentito nemmeno trovare un “lavoretto” normale, per avere qualche euro in più in tasca, perché piuttosto le veniva consigliato di prostituirsi. Sono le regole e le vessazioni alle quali un papà romano cinquantenne, Francesco S., e la sua nuova moglie, Valentina S. hanno sottoposto alla figlia, oggi 23enne. L’inferno è durato per cinque anni. E ora, entrambi sono finiti a processo con l’accusa, sostenuta dal pm Mauro Masnaghetti, di maltrattamenti in famiglia, aggravata perché il fatto sarebbe stato commesso, per un periodo di tempo, su una minorenne.  

A piazzale Clodio, la vittima ha raccontato gli anni «terribili» dell’adolescenza vissuti insieme al padre e alla matrigna, Circostanze confermate anche dalla testimonianza dello psicologo del liceo che la ragazza frequentava all’epoca dei fatti. Gli episodi contestati dalla procura si sarebbero consumati dal 2014 al 2019, anno in cui la ragazza avrebbe deciso di sporgere denuncia. I genitori della vittima si erano separati quando aveva sedici anni, la madre era andata a vivere in Campania e lei era rimasta nella Capitale insieme al papà e alla sua nuova compagna. Voleva continuare la sua vita di sempre, insieme agli amici d’infanzia e, quindi, aveva scelto di rimanere a Roma, lontana dalla madre. Ma proprio da quella scelta sarebbe cominciata un’adolescenza da incubo. 

Secondo quanto scrive l’accusa, la ragazza sarebbe stata sottoposta per cinque anni a «un regime di vita intollerabile» alimentato da «minacce, percosse, umiliazioni, aggressioni verbali e fisiche». Le uscite con gli amici non le erano consentite, poteva mettere piede fuori di casa solo accompagnata dal papà e dalla matrigna. Non poteva andare nemmeno alle feste di compleanno dei compagni, come ha confermato anche da un amico del liceo che testimoniato di vederla «raramente» partecipare alle serate organizzate dalla classe. C’era anche il divieto sui vestiti da indossare, non poteva seguire la moda del momento come le sue coetanee perché gli imputati avrebbero imposto alla parte offesa un codice d’abbigliamento da rispettare. Nello specifico, si legge dal capo d’imputazione, le avrebbero vietato «l’utilizzo di un abbigliamento diverso rispetto a quello che le veniva imposto, anche usato, lanciandoglielo contro».  

La matrigna, poi, l’avrebbe picchiata più volte per «futili motivi», annotano i pm. E, ancora, la ragazza, una volta diventata maggiorenne, si era trovata un lavoro per pagarsi le ripetizioni scolastiche e concedersi qualche sfizio per regalarsi una vita normale, dato che il papà le passava pochi soldi. Ma proprio suo padre, secondo la procura, avrebbe manifestato il suo disappunto insultandola e umiliandola e la «invitava a prostituirsi», si legge dagli atti. Non mancavano gli insulti: «Hai il sedere grosso e le coscie grosse; hai problemi di ragionamento; cretina; deficiente; sei matta come tua madre; vattene da lei». Appena arrivata all’Università, che pagava da sola, la ragazza aveva vinto anche una borsa di studio in un Ateneo privato della Capitale, grazie ai risultati ottenuti. A casa, però, era sempre l’inferno. E così ha trovato il coraggio e ha denunciato di denunciare il padre e la matrigna. 

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Il Mattino