Prodi: «Migranti, il populismo ha già vinto. L'unità del Paese ora è a rischio»

Prodi: «Migranti, il populismo ha già vinto. L'unità del Paese ora è a rischio»
«Attenti, quei no all’accoglienza non sono solo un atto di disobbedienza delle parti più ricche d’Italia, e neanche solo una declinazione regionale della politica...

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«Attenti, quei no all’accoglienza non sono solo un atto di disobbedienza delle parti più ricche d’Italia, e neanche solo una declinazione regionale della politica dell’immigrazione. Sono un attacco inedito al concetto di unità nazionale e al senso collettivo di sentirci un Paese. Il declino della democrazia inizia da fatti come questi»: Romano Prodi guarda preoccupato all’ultima crociata leghista e ai suoi riverberi politici e fa notare come le risposte dell’Europa siano inversamente proporzionali all’ampiezza dei suoi mali. Più gravi questi e più deboli quelle. «In questo momento nel mondo ci sono 250 milioni di persone che non risiedono nel Paese in cui sono nate - spiega l’ex premier e presidente della Commissione europea -. È un fenomeno che la storia conosce dal tempo delle migrazioni bibliche ma a cui tre fattori concomitanti hanno impresso un’accelerazione inedita: la globalizzazione, la tecnologia dei trasporti e il ruolo rivoluzionario dell’informazione. È singolare che più si amplia lo spettro del dramma più si riduce la sua comprensione».




Sta parlando dell’Europa?

«Non solo, ma l’Europa è il primo teatro di questa asimmetria. È qui che il dramma dell’immigrazione viene trattato come un aspetto della politica interna degli Stati. Con l’effetto che un’opzione politica piuttosto che un’altra smette di essere valutata per l’impatto che ha sul problema, ma diventa decisiva per le reazioni che produce sull’elettorato. Ci sono molti esempi in questi ultimi mesi che provano questo paradigma».

Ne faccia uno.

«Quando a Bruxelles si è presa la debole decisione di rilanciare la missione Triton nel Mediterraneo, il primo ministro inglese si è subito dichiarato favorevole all’operazione di salvataggio, aggiungendo quasi con sfrontatezza: tanto poi i migranti li portiamo in Italia. Il suo orizzonte dichiarato era l’elettorato interno, a cui intendeva garantire il disimpegno del governo da qualunque responsabilità di accoglienza. Questa strumentalizzazione dell’immigrazione non poteva non ripercuotersi nel nostro Paese. E quindi, preparato come sono a non stupirmi più di nulla, mi aspettavo che il dibattito in Italia si concentrasse sui limiti da imporre al processo migratorio e sulla necessità di assicurare la sicurezza ai nostri cittadini e, ancora, sulla severità delle regole da imporre e far rispettare agli stranieri che vengono qui. Non mi aspettavo però che la questione migratoria diventasse un elemento di frattura dell’identità nazionale. Quello che sta accadendo è inedito nella pur travagliata dialettica nazionale sul tema».



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