Il solco tra le regioni settentrionali e quelle meridionali è stato scavato anno dopo anno. Mentre al Nord si finanziava la costruzione di infrastrutture moderne ed...
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Per il Mezzogiorno, ricorda la relazione sui Conti pubblici territoriali, la quota di risorse ordinarie effettivamente erogata sul territorio è stata mediamente pari al 26,6%, che scende al 23,9% se si considera l’ultimo triennio. Al contrario, ricorda la stessa relazione, al Centro-Nord la quota delle spese ordinarie risulta pari al 73,4%, quindi quasi 9 punti superiore alla percentuale della popolazione dell’area, che nello stesso periodo è stata del 64,9%. Cosa questo significa, e ha significato nel tempo per il Mezzogiorno, lo si può capire dai dati di un seminario interno dell’Agenzia per la coesione, durante il quale la relazione sui Conti pubblici territoriali è stata analizzata.
«Se le amministrazioni centrali avessero seguito la prescrizione della quota di popolazione», si legge negli atti del seminario, «avrebbero dovuto dare al Mezzogiorno, secondo la nostra valutazione, 2,57 miliardi di euro l’anno in più». Che se si moltiplicano per i 17 anni analizzati nel rapporto, fa ben 43,7 miliardi di euro. Una cifra rilevante. Ed è un tema importante anche alla vigilia delle decisioni che dovranno essere prese in vista dell’impiego dei fondi del Recovery Plan europeo. Assegnare al Mezzogiorno il 34% delle risorse formalmente rispetterebbe la regola di «equità» degli investimenti legati alla popolazione. Ma nella sostanza non riparerebbe l’ingiusto riparto dei fondi subito dal Meridione negli ultimi due decenni.
Anche i tagli fatti per fronteggiare la crisi economica sulla spesa in conto capitale, scesa da poco più di 66 miliardi a circa 62 miliardi nel 2017, non sono stati divisi in maniera equa all’interno del Paese. Nelle regioni meridionali la riduzione a livello pro-capite è stata del 12,9%, mentre nel Centro Nord del 4,1 per cento.
Un capitolo a parte va dedicato alle imprese pubbliche nazionali, attraverso le quali passa una quota rilevante degli investimenti “pubblici”. Il grosso passa attraverso il bilancio del gruppo Ferrovie che, negli anni, ha destinato quote ridotte di finanziamento verso il Mezzogiorno. Solo nel 2018, secondo le rilevazioni dei conti pubblici territoriali, si è arrivati a un 29% sul totale degli investimenti in Italia (contro il 15-20% di media). In un recente seminario della società italiana degli economisti, il Dipartimento studi dell’economia territoriale dell’Ifel, ha presentato un dossier nel quale ha rilevato come «dal 2001 al 2010 nel Centro Nord si è consumata una significativa accumulazione di capitale che rappresenta la benzina per alimentare investimenti nell’area già più industrializzata d’Italia».
Tra il 2000 e il 2016, si legge nelle tabelle allegate allo studio dell’Ifel, la spesa per investimenti delle imprese pubbliche nazionali è stata di 324 euro pro capite nel Centro-Nord, contro i 223 euro del Mezzogiorno. È come se in un campionato di calcio a una squadra fosse stata data la possibilità di giocare in 11 contro sette e ora, solo all’ultima partita di campionato, finalmente alla squadra avversaria fosse concesso di giocare in undici.
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Il Mattino