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Lo smacco per l’intelligence di Israele resterà nella sua storia e in quella del Paese, da sempre fortemente intrecciate. L’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre scorso, preparato per due anni con grande meticolosità è completamente sfuggito ai radar di quelli che erano considerati tra i servizi segreti più efficienti del mondo. Verrà il momento delle inchieste interne e delle teste che rotoleranno, ma intanto per lo Shin Bet è sempre il tempo di caccia.
E come spesso accade, per ridare lustro alla propria immagine si ricorre ad un passato glorioso. Così l’unità speciale appositamente costituita per dare la caccia ai responsabili degli orrori di due settimane fa, si richiama fin dal nome ad una pagina leggendaria nella storia dello stato ebraico. “Nili” è quello prescelto, è l’acronimo di una frase di Samuele nel libro della Genesi che recita la promessa biblica: «L’Eterno di Israele non ti abbandonerà mai». Una promessa che il gruppo appena nato assume in qualche modo come proprio obbiettivo.
LA SQUADRA
La squadra sarà scollegata dalle altre unità militari e potrà contare su militari sul campo, come i commando delle forze speciali della Marina e l’unità di élite “Sayeret Maktal”.
I PRECEDENTI
La prima rete spionistica ad essere chiamata Nili operava già al tempo della prima guerra in collegamento con la Gran Bretagna contro gli Ottomani. Comunicavano con loro nei modi più impensabili, compreso l’uso di piccioni viaggiatori: sistema che dovettero abbandonare quando uno dei messaggi in codice fu intercettato e decrittato dagli Ottomani nell’inverno del 1917. Poi, molti anni dopo, un’altra unità speciale fu costituita per dare la caccia ai terroristi che insanguinarono nel 1972 le Olimpiadi di Monaco uccidendo 11 atleti della squadra israeliana. L’operazione fu chiamata in codice “ira di Dio” e fu autorizzata dall’allora premier Golda Meir che diede il via libera alla caccia a ciascuno degli uomini del commando. E così cominciò una sequenza di morti misteriose a Beirut, Roma, a Cipro, a Parigi. I primi tre furono uccisi nella capitale libanese da un gruppo di agenti travestiti da donna come il loro comandante, Ehud Barak, il soldato più decorato di Israele diventato in seguito primo ministro. Poi ci fu un’operazione fallita in Norvegia, con un errore sull’identità del bersaglio colpito, un povero e innocente cameriere marocchino. I tre agenti israeliani furono arrestati e rimasero quasi due anni in carcere. La caccia comunque continuava, e ancora a Beirut fu ucciso il capo delle operazioni di “Settembre Nero” Hassan Salameh chiamato il “principe rosso” e, a Parigi invece, un altro uomo del commando saltò in aria dopo che avevano imbottito di esplosivo il suo telefono e poi lo avevano fatto esplodere a distanza. Altre operazioni speciali non sono mancate in questi ultimi anni, soprattutto in Iran e quelle sotto copertura di agenti “mishtaravim” così chiamati per la loro perfetta conoscenza della lingua araba e la capacità di mimetizzarsi tra le popolazioni in Cisgiordania. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino