«Basta non ho potuto salvarli». Colui che tra i banchi, nella navata della chiesa, ha pensato questa frase sincopata, possiede una voce interiore simile a quella di...
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«Sara, Giorgia, Giulia, Simone, Santa…». L’elenco è lungo. Si spera che non sarà troppo lungo il tempo necessario a rifondare il bene contro la devastazione: case da ricostruire nel rispetto delle regole antisismiche, assistenza psicologica, progetti di lavoro e aiuti economici. Taumaturgia del tempo sul dolore. I fatti, insomma. Per non negare a nessuno il diritto alla dignità e alla rifondazione della vita. Quindi il gesto etico e concreto in ogni azione politica. Il dolore è in atto. Ci si ferma sulla sua soglia e lo si ascolta perché contiene in un modo più semplice e diretto il rifiuto dostoevskijano, a credere che l’armonia finale possa realizzarsi persino attraverso il male fatto ai bambini. Perché nel dolore si ripensa al terrore e alla fragilità dell’essere umano. Allora sarà terribile e fondante ripetere in sé l’urlo di Giobbe, i versi de La ginestra, l’ironia del Dialogo della Natura e di un islandese, il sogno e le maledizioni di Faust alla vita e al suo carico di illusioni, passare attraverso lo stadio amletico in cui ci si sente orfani e invendicati, ripercorrere la rabbia psichica e antropologica di Thomas Bernhard, ripossedere il senso beckettiano della desolazione umana. Ma il dolore è in atto, e la perdita non si spiega né si esaurisce con il soccorso delle pagine più amate. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino