Roma. Dimissioni anche da segretario del Pd. È questo l'orientamento che è maturato nella testa di Matteo Renzi e che, se mantenuto, verrà annunciato...
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Al momento non si sa se Renzi sarà presente alla direzione dem convocata per oggi a mezzogiorno, se sarà di fuoco o meno dipende da lui, ma anche dagli altri. Nell'attesa, Orfini e Guerini sono preallertati a doversi preparare per fare la relazione. Ma i dirigenti Dem stanno provando a convincere Renzi a ripensarci e partecipare alla direzione, per non dare adito a polemiche della minoranza interna. «Sarebbe di una gravità inaudita la sua assenza - dice un bersaniano - Un segretario che non va alla direzione del suo partito di fatto è già dimesso». Sembra di essere tornati al periodo dei «reggenti» dei Ds, quando toccò a Pietro Folena assurgere al ruolo di conducator in assenza di leader dimissionario. «Non mi faccio incastrare», è lo sfogo di Renzi consegnato a un intervento notturno su facebook e a colloqui che ha avuto un po' in giro. L'ormai ex premier ha preparato e chiuso gli scatoloni, ha riconsegnato la chiave del terzo piano di palazzo Chigi con gli alloggi del premier e se n'è andato a Pontassieve dove intende rimanerci per l'intera settimana. «Giusto lasciare la guida del governo e giusto puntare a elezioni al più presto, altrimenti, tra le altre cose, ci sarebbe il referendum della Cgil sul jobs act che porterebbe ulteriori lacerazioni», ha ricordato Matteo. «Ma io non mi faccio incastrare», ripete l'ormai ex premier che non interpreta la settimana di Pontassieve come gli ozi toscani, ma come una strategia per rimanere nell'agone politico. I primi dati sono per lui confortanti: secondo un sondaggio, il 52 per cento di elettori e iscritti Pd lo vuole ancora alla testa del partito, mentre chiunque altro è staccatissimo (Enrico Rossi al 12,7 e Pierluigi Bersani all'11,8, che sembra un po' l'anticipazione di come si potrebbero concludere le primarie). «Riparto da capo, come è giusto che sia», ha scritto in nottata, ricordando che adesso non ha più «né lo stipendio di premier, né quello di parlamentare e neanche l'immunità e men che meno il vitalizio», torna semplice frate ma non spettatore. Tutt'altro. Ad altri ha annunciato la voglia di tornare a parlare «ai giovani», quelli che più lo hanno abbandonato al referendum, «girerò l'Italia per riprendere il contatto con i giovani».
Quanto alle vicende interne, Renzi si dice pronto a «sfidare D'Alema o chi sceglierà di mettergli contro». Il timing è tracciato: il 18 assemblea a Milano che lancia il congresso, con segretario dimissionario o meno; primarie a marzo, possibilmente saltando o riducendo al minimo i passaggi solo interni (congressi di circoli, convenzioni di soli iscritti et similia), «il problema sarà parlare al Paese, non a noi stessi»: primarie di massa, dunque, per le quali Renzi conta di portare a votare «almeno due milioni di persone», «e questo certo non lo ottiene passando dalle correnti o dai capibastone che pensano solo alle questioni interne», avvertono i suoi. Al termine delle primarie, se verrà riconfermato segretario, a seconda anche della nuova legge elettorale che dovrebbe favorire raggruppamenti, Renzi prevede primarie di coalizione, soprattutto se Pisapia intenderà mantenere il progetto di un nuovo centrosinistra dove l'ex sindaco di Milano coprirebbe la sinistra. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino