Via libera al decreto dignità: licenziare diventa più caro

Via libera al decreto dignità: licenziare diventa più caro
 La sintesi politica del provvedimento l’ha fatta Luigi Di Maio. Il ministro del lavoro e dello Sviluppo economico, ha detto senza mezzi termini che con il decreto...

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 La sintesi politica del provvedimento l’ha fatta Luigi Di Maio. Il ministro del lavoro e dello Sviluppo economico, ha detto senza mezzi termini che con il decreto dignità «iniziamo a smantellare il Jobs act». Il varo del testo arriva nel giorno in cui l’Istat ha diffuso i dati sulla ripresa del mercato del lavoro, ma che secondo Di Maio consegnano «un record di precariato e non di occupazione». Le “picconate” alla riforma principe del governo Renzi non sono poche. La più rilevante riguarda il costo dei licenziamenti. Il contratto a tutele crescenti introdotto dal precedente governo, prevedeva la possibilità di licenziare il lavoratore anche «senza giusta causa» a fronte del pagamento di una liquidazione da 4 a 24 mesi a seconda dell’anzianità del lavoratore. Il decreto “dignità” aumenta l’indennizzo massimo a 36 mensilità, tre anni di stipendio. Le norme più rigide non riguarderanno solo i licenziamenti, ma anche le assunzioni a termine. La durata massima del lavoro a tempo scenderà da 36 mesi a 24 mesi. Torneranno anche le causali. Solo il primo contratto potrà non avere un “oggetto”, dal primo rinnovo in poi sarà necessario inserirlo.  

I rinnovi totali, ferma restando la durata massima di ventiquattro mesi, non potranno essere più di quattro. Ogni volta che il contratto sarà allungato, l’azienda dovrà pagare un aliquota contributiva aggiuntiva dello 0,5%. Restano nel decreto, anche se sono stati smussate, le norme sulle delocalizzazioni (il provvedimento fa salvi i contratti in essere, e le aziende perdono i fondi se lasciano l’Italia prima di 5 anni contro i 10 anni previsti dalle prime bozze) e l’abolizione dello split payment, il meccanismo contro l’evasione che obbliga chi compra a trattenere l’Iva e a versarla al posto del fornitore. Dopo un tira e molla con gli uomini del ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, è rimasta nel testo anche la norma che vieta completamente la pubblicità dei giochi. 
LA SCENA
Di Maio, che firma il primo provvedimento economico del governo Conte, prova a riprendersi la scena che fino ad oggi era stata completamente occupata da Matteo Salvini con il tema dei migranti. E i leghisti, per ora, hanno lasciato la scena al ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico. Non è un mistero che su molte delle norme inserite nel provvedimento gli uomini del Carroccio abbiano più di un dubbio. Ma fino a ieri sera non un intervento e nemmeno un tweet di un esponente leghista è stato registrato sul decreto “dignità”. Salvini, impegnato a Siena per il palio, non ha nemmeno partecipato alla riunione. Una calma, probabilmente di facciata, in attesa di riprendersi la scena su altri due provvedimenti ritenuti fondamentali dagli uomini del leader della Lega: la Flat tax e la Pace fiscale.
L’INCONTRO 

Ieri Di Maio ha incontrato anche i ciclofattorini, i rider ai quali ha promesso più tutele. L’appuntamento ha segnato la partenza del tavolo che il ministro ha convocato per risolvere la questione. Un tavolo con l’obiettivo di arrivare, ha detto Di Maio, ad un contratto «avveniristico» per i rider, che riconosca loro tutele e salario minimo. La via, come sottolineato dallo stesso ministro, è quella della «concertazione» con l’auspicio di raggiungere un accordo tra le parti. Se il tavolo non dovesse invece dare i suoi frutti, la strada tornerà ad essere quella della norma, da inserire nel dl dignità, nell’arco dei 60 giorni di tempo previsti per la sua conversione in legge. Un nuovo appuntamento, ha assicurato il ministro, sarà fissato già in settimana. Sul decreto “dignità” c’è forte malumore da parte degli imprenditori. Già qualche giorno fa il presidente degli industriali Vincenzo Boccia aveva detto che «aumentare i costi dei contratti a termine sarebbe sbagliato: il lavoro non si genera irrigidendo le regole». Ieri le altre categorie hanno aggiunto la loro posizione. «La reintroduzione delle causali, l’aumento incrementale del contributo per le imprese e l’applicazione ai contratti in essere rappresentano una fortissima penalizzazione per le aziende del terziario e del turismo che da sempre utilizzano questo modello per far fronte alle variabili esigenze di mercato», ha subito protestato Confcommercio. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino