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Sulla strada del regionalismo “differenziato”, ossia i maggiori poteri e le maggiori competenze chieste a gran voce da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, quello dei soldi resta il problema centrale. Passare delle competenze che sono oggi dello Stato alle Regioni, comporta anche che il primo debba rinunciare a risorse economiche a favore di queste ultime per gestire i servizi trasferiti.
La domanda, o piuttosto il dilemma, è sempre lo stesso. Se la separazione soft la chiedono le Regioni più ricche, quelle che hanno meno soldi come faranno a finanziare i servizi ai propri cittadini se lo Stato avrà meno possibilità da fare da “livella” tra le Regioni? È questo uno dei veri nodi del federalismo fiscale.
Da tempo è stata immaginata una soluzione. Fissare, prima di attuare il federalismo, quali sono i fabbisogni standard (le risorse) per finanziare in ogni territorio i Lep, dei livelli essenziali di prestazione che garantiscano a tutti i cittadini gli stessi diritti, dagli asili nido, al tempo pieno fino ai trasporti pubblici, a prescindere dal luogo dove sono nati e vivono. Nei territori che non raccolgono attraverso le tasse, perché la loro economia è di dimensioni minori, abbastanza soldi per finanziare quei servizi, dovrebbe scattare un sistema di “solidarietà”. Una perequazione per trasferire risorse da chi ne ha di più a chi ne ha di meno. Ma oggi questa perequazione ha sostanzialmente fallito. È stato stabilito infatti che chi ha meno, non ha diritto a vedersi riconosciuto il 100% della perequazione per raggiungere i livelli standard, ma solo il 45%. Il tema è sul tavolo del ministro Mariastella Gelmini, che nei giorni scorsi ha annunciato la volontà di riprendere le trattative sul regionalismo differenziato. La commissione alla quale il ministro si è affidato, guidata da Beniamino Caravita, ha provato ad affrontare di petto il tema.
C’è un problema che è difficile risolvere. Il predecessore di Gelmini, Francesco Boccia, aveva subordinato nella sua bozza di legge quadro sull’autonomia differenziata, la trattativa con le Regioni all’approvazione preventiva dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, per le competenze richieste dai governatori.
Anche per evitare che una Regione che ha un’economia che corre, incassi risorse in più di quelle strettamente necessarie a finanziare le funzioni trasferite dallo Stato centrale accumulando nei suoi bilanci una sorta di dividendo extra del regionalismo differenziato e allungando in questo modo la distanza con le Regioni che hanno meno risorse. Non solo. Una particolare attenzione è poi richiesta proprio sull’evoluzione delle basi imponibili e, dunque, sull’andamento del gettito. Comunque sia, nella legge quadro sul regionalismo differenziato che il ministro Gelmini dovrebbe presentare entro settembre, sarà chiarito che le Regioni non potranno chiedere, come hanno fatto, tutte e 23 le materie concorrenti. E tra queste, soprattutto, l’istruzione dovrà rimanere sostanzialmente fuori.
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