«Terrorismo di Stato». Juan Guaidó prova a riaccendere la miccia di una contro-rivoluzione che sembra...
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Juan Guaidó prova a riaccendere la miccia di una contro-rivoluzione che sembra oramai fallita. E lo fa con parole forti, con un’espressione che di fatto sintetizza tutto il marcio della gestione di Nicolás Maduro. Ovvero di quel socialismo ereditario più interessato a rimanere aggrappato al potere che non a risolvere i problemi che da anni attanagliano il Venezuela.
Ed è proprio nella piaga della fame, della scarsezza dei beni e dell’insicurezza diffusa che l’autoproclamato presidente ad interim prova a girare il dito. Sottolineando la costanza, quasi la testardaggine, con la quale l’Assemblea Nazionale, di cui lo stesso Guaidó è formalmente a capo, continua a lavorare per il bene del Paese.
Uno sforzo già interrotto, soltanto di recente, da più di 90 sentenze volte ad ostacolare le attività del Parlamento. Un destino già spezzato, quello del trentacinquenne originario de La Guaira, paragonabile all’orizzonte di una nazione in frantumi.
Guaidó, però, non molla la presa. E promette battaglia. E spera ancora.
Spera in una Comunità Internazionale che in parte lo snobba e addirittura gli sbarra la strada. Con la Russia che alza la voce contro eventuali ingerenze e con la Cina che scarica i primi aiuti tra Caracas e dintorni. Con l’Europa incerta e divisa proprio dall’Italia. Con gli Stati Uniti che hanno il volto dell’ultima speranza.
Del resto, il giovane leader dell’opposizione venezuelana non ne fa segreto e anzi scrive di suo pugno una lettera indirizzata ai vertici di Washington in cui auspica «un piano operativo e strategico che consenta di onorare i doveri costituzionali nei confronti di un popolo in ginocchio».
Che lo aiuti a rialzarsi, che lo liberi, insomma.
In altre parole, con la forza, con un intervento militare che oramai viene invocato a gran voce.
Un’ipotesi che fa infuriare Maduro che a sua volta denuncia ciò che bolla come un «disgustoso tentativo di destabilizzare la terra di Bolívar».
Terra di Bolívar che, a prescindere dalla possibile furia firmata Trump, è già da tempo e di per sé tutto fuorché stabile. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino