Nella relazione dell'Anac presentata nei giorni scorsi al Parlamento era contenuto un dato particolarmente significativo, sostanzialmente snobbato dai media. Mi riferisco al...
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Per comprendere perché quel numero è così rilevante, è utile spiegare, per chi non dovesse saperlo, cosa sono le interdittive. Sono, in particolare, atti adottati dai Prefetti del luogo in cui ha sede l'operatore economico, a seguito di un'ampia istruttoria effettuata dalle forze di polizia, quando vengono ritenuti esistenti pericoli di infiltrazione mafiosa nella compagine imprenditoriale. La loro adozione impedisce la partecipazione delle imprese agli appalti pubblici al di sopra di un certo importo e le fa decadere le commesse in atto. Il dato, quindi, ha una duplice valenza dimostrativa; segnala l'infiltrazione mafiosa sia nel sistema imprenditoriale che in quello degli appalti pubblici.
Dall'esame dei numeri si evidenzia anche il trend nel corso degli ultimi anni; purtroppo, in costante ascesa; nel 2018 gli operatori economi interdetti sono stati circa 580 con un aumento di circa il 55% rispetto a quelli del 2015 (erano 366) e del 370% rispetto al 2014 (erano 122). La scomposizione, poi, di quei dati su base regionale disvela una omogeneità territoriale molto maggiore di quanto ci sarebbe potuto attendere.
I primi due posti nel quadriennio 2014/2018 vengono occupati, senza particolare sorpresa, da Calabria e Sicilia (rispettivamente con più di 600 imprese interdette la prima e circa 580 la seconda); segue a distanza la Campania (con 250 imprese) e subito dopo Emilia Romagna (180) e Lombardia (160) e poi, quasi ex aequo, Puglia e Piemonte (entrambe poco sopra le 100).
Se teniamo presente che questi numeri riguardano quasi esclusivamente le imprese che operano nel settore degli appalti pubblici al di sopra di una certa soglia, è legittimo azzardare che i dati effettivi potrebbero essere persino più ampi, se analoghe verifiche venissero effettuate anche per quegli operatori che agiscono nel settore privato o che si occupano solo di piccoli appalti. Ovviamente fra le entità attinte da interdizione c'è un po' di tutto; ci sono soprattutto realtà medie e piccole, ma non mancano anche soggetti di dimensioni più significative. Se si ipotizza un numero di 10 dipendenti per ognuna di queste entità, si può apprezzare quante persone sono interessate in attività economiche ritenute infiltrate dalle mafie, soggetti che è bene ricordarlo - finiscono per essere (quasi sempre) esse stesse vittime delle organizzazioni criminali, perché sono quelli che, alla fine, perdono il posto di lavoro per il venir meno delle commesse pubbliche.
L'aspetto più preoccupante che consegue a questa analisi è, però, nella conferma, a questo punto inequivocabile, del cambiamento in atto delle mafie; sparano di sicuro meno (anche se non dovunque, perché a Napoli si spara e si ammazza ancora tanto), ma penetrano sempre più il sistema economico e soprattutto si insinuano con sempre maggiore intensità in territori fino a pochi anni fa considerati, in modo troppo semplicistico ed indulgente, immuni da questi fenomeni. I numeri si prestano ovviamente anche e, direi soprattutto, ad una lettura positiva; dimostrano in modo indiscutibile come le barriere stiano facendo argine, grazie ad un grande impegno e ad una particolare sensibilità delle prefetture del Paese e delle forze dell'ordine, a cui bisogna essere indiscutibilmente grati. Rendono evidente, infine, come non si possa affatto abbassare la guardia e l'attenzione rispetto e certi fenomeni, a differenza di chi pensa e nell'ultimo periodo lo dice con sempre più forza - che i controlli siano un fastidio o peggio ancora un fattore che impedisce gli affari. L'esame di questi numeri dimostra che i controlli hanno certamente impedito gli affari soprattutto, però, delle organizzazioni mafiose. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino