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Mario Draghi non fissa una data di scadenza per il «governo di alto profilo» a cui sta lavorando su incarico di Sergio Mattarella. E di fronte al forte maldipancia di Pd e Leu, corsi a dirgli che con Matteo Salvini «esiste incompatibilità, non è possibile governare insieme», ha promesso «una sintesi». E ha aggiunto, mostrandosi ottimista: «Fidatevi di me, ci sono scelte da fare e non intendo eluderle». Il momento della verità arriverà «a breve».
Dopo un nuovo (ma più rapido) giro di consultazioni, il premier incaricato tra martedì o mercoledì proporrà un programma. E chi ci starà, lo voterà. Con un’ambizione: costruire «un governo misto, composto da politici e tecnici capaci». Il modello che debuttò nel 1993 con Carlo Azeglio Ciampi, poi eletto capo dello Stato.
C’è da dire che quella di ieri è stata una giornata a chiari e scuri per Draghi, che ieri ha sentito al telefono Beppe Grillo e lunedì incontrerà le parti sociali. È vero, il Pd con Nicola Zingaretti ha promesso «pieno sostegno e piena disponibilità». E anche Matteo Renzi e Forza Italia hanno garantito il loro «appoggio incondizionato», mentre Salvini già annunciava di voler mettere suoi ministri nell’esecutivo. Obiettivo: terrorizzare l’ex maggioranza rosso-gialla e trovare un’exit strategy. Ma è altrettanto vero che Leu, con Loredana De Petris e Federico Fornaro, non ha offerto alcuna garanzia battendo sul no al capo della Lega: «Impossibile convivere con i sovranisti, con chi a giorni alterni liscia il pelo ai negazionisti». E la leader di FdI Giorgia Meloni ha confermato che non voterà la fiducia al nuovo esecutivo, pur non escludendo l’astensione e un’opposizione costruttiva.
Proprio durante il colloquio con la delegazione di FdI, Draghi ha parlato dell’orizzonte temporale del governo. E ha escluso date di scadenza. «Presidente, prende in considerazione di mettere in sicurezza il Paese, fare il Recovery Plan e il piano vaccinale per poi consentire agli italiani di andare ad elezioni prima dell’inizio del semestre bianco? Tra giugno e luglio?», ha chiesto la Meloni.
Il nodo-Salvini è invece esploso per la prima volta durante l’incontro con Leu. «Riteniamo che sia impossibile fare un governo con forze politiche incompatibili», hanno detto De Petris e Fornaro, «perché lei potrà anche fare dieci decreti al giorno, ma poi dovrà essere il Parlamento a votarli. Le portiamo un esempio: per noi il blocco dei licenziamenti deve durare fino alla fine della pandemia, la Lega invece la pensa in modo opposto. Cosa farà?». La risposta di Draghi è stata laconica: «È vero, la questione dei licenziamenti è grave, vedremo come affrontarla. Riguardo alla questione politica, farò un secondo giro di consultazioni. Dobbiamo provare a comporre. Vi ringrazio per la franchezza».
Un copione più o meno simile ma meno ruvido, al di là delle dichiarazioni di pieno sostegno rilasciate da Zingaretti al termine, è andato in scena durante il colloquio con la delegazione del Pd composta anche dai capigruppo Graziano Delrio, Andrea Marcucci e dal vicesegretario Andrea Orlando. Durante l’incontro i dem - che sanno benissimo di non poter negare la fiducia a Draghi - hanno spiegato al premier incaricato che su giustizia, politiche fiscali, immigrazione, rapporti con l’Europa ed euro-atlantici e perfino sui cambiamenti climatici non possono stare al governo con Salvini. E che serve «una maggioranza il più possibile omogenea». La risposta di Draghi: «Capisco le vostre obiezioni, sono consapevole che le riforme spesso sono state rallentate da visioni diverse. Avete fatto bene a parlare un linguaggio di verità. Cercherò di farmi carico di una sintesi efficace per il Paese».
La traduzione data a queste parole dalla delegazione dem, che ancora confida al pari di Leu e 5Stelle in «un governo politico» guidato dall’ex capo della Bce: «Il presidente farà una proposta programmatica e la voterà chi vi si riconoscerà». Con un auspicio: «C’è da sperare che la proposta sarà indigeribile per Salvini. Perché una cosa è certa, Draghi non può e non vuole porre veti espliciti contro la Lega. E non li possiamo porre neppure noi dopo l’appello di Mattarella».
Renzi è convinto che l’ex capo della Bce non abbia alcuna intenzione di tagliare fuori la Lega. E questo perché, con Salvini dentro alla maggioranza, «nessuno avrà potere di veto o di ricatto sui vari provvedimenti e nessuno potrà far cadere Draghi. Né i 5Stelle, né i leghisti», ha confidato ai suoi il leader di Italia Viva, «e non ci sarà nessuno che avrà in mano, grazie ai numeri amplissimi in Parlamento, la golden share dell’esecutivo».
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Il Mattino