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Non scoprire il naso o la bocca, lavare le mani prima di indossarla e sostituirla almeno una volta al giorno. A mesi di distanza dalla loro comparsa nella quotidianità degli italiani, la mascherina è ancora la più discussa (e la più ignorata) tra le misure della cosiddetta «triade» anti-Covid. Mentre sull’utilità del distanziamento sociale e dell’igienizzazione costante si trova sempre molto poco da dire, quei pezzi di tessuto pensati per coprire naso e bocca ed evitare che i pericolosi droplet possano contagiare qualcuno continuano ciclicamente ad essere messi in discussione.
A fare un po’ di chiarezza ieri, nel corso della consueta conferenza stampa di aggiornamento sulla situazione del Covid-19 in Italia, ci ha pensato il numero uno dell’Iss Silvio Brusaferro. «Oggi l’uso delle mascherine sta mostrando il suo effetto un po’ in tutto il mondo» ha spiegato. Il riferimento però, non è solo a quelle classificate in base alla loro capacità filtrante (chirurgiche e varie FFP), ma anche a quelle di comunità. Vale a dire quelle del sarto, spesso fatte in casa, che sono cucite con più strati. A domanda specifica infatti, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità ha sostenuto che ci sono «forti evidenze che» questo tipo di mascherina «sia uno strumento importantissimo».
A supportare Brusaferro anche Giovanni Rezza, direttore generale Prevenzione del ministero della Salute, che però precisa come «le mascherine di comunità» non abbiano un’efficacia protettiva «valutata come per quelle chirurgiche che hanno un’efficacia standardizzata».
A prescindere dalla tipologia di dispositivo utilizzato, la prima norma da seguire è senza dubbio igienizzare per bene le mani. Poi, come chiarisce un volantino pubblicato proprio dall’Iss, fare in modo che la mascherina aderisca al viso coprendo sia naso che bocca. Non solo, bisogna anche evitare di toccarla una volta indossata e, nel caso lo si faccia, lavare le mani. Se però si pensa di aver contaminato la mascherina (specie se chirurgica) o anche se questa sembra umida è necessario gettarla avendo cura di toglierla dal viso toccando esclusivamente gli elastici. Se invece si tratta di una mascherina riutilizzabile, dopo l’uso va lavata in lavatrice a 60°, con sapone.
Al contrario le regole cambiano se si decide di utilizzare una mascherina che, a differenza di quelle chirurgiche e di comunità, abbia potere di filtraggio sia in entrata che in uscita. È il caso delle Ffp2 e delle Ffp3. Su questa tipologia di dpi (dispositivo di protezione individuale) però bisogna fare attenzione perché se è vero che hanno un’efficacia più alta (bloccano rispettivamente il 94% e il 99% degli aerosol, contro il 95% di quelle chirurgiche che però limitano solo gli aerosol in uscita e che quindi a livello globale hanno un’efficacia dell’80%), lo è anche che non sono adatte a tutti. Questa tipologia di mascherine infatti «hanno una caratterizzazione molto professionale - ha ribadito Brusaferro - e non a caso, laddove vengano indicate, per poter essere efficaci richiedono una formazione specifica». Bisogna in pratica essere consapevoli dello strumento che si ha tra le mani, conoscendo ad esempio le procedure corrette per gestire le valvole presenti e, soprattutto, ricordando che non andrebbero indossate per più di 6 ore. Non è un caso infatti se già da questa estate è montata una polemica in merito. Le mascherine, completamente aderenti al viso, permettono un passaggio di aria ridotto e questo, sommato alla calura, può avere effetti deleteri, specie sui soggetti più fragili.
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