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Un “bis” ostinatamente rifiutato e alla fine accettato al termine di una via crucis parlamentare che inchioda i partiti ai loro fallimenti. La crisi della Repubblica, l’incompiuta transizione verso un nuovo equilibrio istituzionale sono stati oggetto di tanti ammonimenti che Sergio Mattarella ha rivolto alle forze politiche. Ora di tanta insipienza ne fa in qualche modo le spese, accettando un nuovo mandato, che non può avere scadenze implicite, nel nome della «stabilità». «Prendo atto della situazione», ha ammesso Mattarella incontrando i capigruppo di maggioranza che ieri pomeriggio sono stati ricevuti al Quirinale dopo che con Draghi il Capo dello Stato aveva di fatto chiuso la faccenda.
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«Il Paese, mai come in questo momento di impasse della politica, ha bisogno di punti di riferimenti sicuri e lei ha un grande consenso», gli dicono i presidenti di regione. Nei giorni scorsi, votazione dopo votazione, il nome di Mattarella era finito in massa sulle schede del centrosinistra, ma anche del centrodestra. «Vi ringrazio della stima», replica sobriamente Mattarella. I partiti di maggioranza si sono fermati sul ciglio del burrone, ma è toccata a Mario Draghi la missione complicata di convincere Mattarella a restare perché sulla graticola dei falsi accordi e delle lunari trattative stava finendo anche il governo. Punto di riferimento Sergio Mattarella lo è sempre stato di un sistema politico imballato da un sistema elettorale che nel 2018, e forse anche nel 2023, non offrirà soluzioni se non si metterà mano a qualche regola elettorale. Un Settennato, quello trascorso e quello che si apre, fatto di un rapporto stretto con il quotidiano e con i problemi reali dei cittadini che in questi giorni di votazioni e dirette televisive hanno assistito ad un continuo sfiorire di ipotesi e nomi.
Stavolta è l’arbitro, custode delle regole, ad aver vinto la partita che forse non avrebbe voluto vincere a seguito di un Parlamento balcanizzato, partiti deboli e leadership spesso inconsistenti. La decisione di accettare, presa in solitaria, dopo aver seguito in tv le ultime e rocambolesche proposte al femminile di Salvini e Conte e vissuto con una certa delusione la bocciatura della seconda carica dello Stato. Hanno fatto il resto le telefonate di Draghi preoccupato e quelle dei suoi più stretti collaboratori che da qualche giorno erano alle prese con il futuro che ora li riporta ancora una volta tra le mura del Quirinale. Ai primi sette anni «impegnativi, complessi e densi di emozioni» se ne aggiungeranno ora altre sette anche se non si è in grado di prevedere ora se, ad un certo punto del mandato, Mattarella voglia fare come Giorgio Napolitano.
Il trasloco a Roma della casa di Palermo è stato completato da tempo, ma alla fine è andata come Mattarella non avrebbe mai voluto perchè sperava in un colpo d’ala della politica e dei partiti. «L’arbitro al quale compete la puntuale applicazione delle regole», dovrà ora di nuovo accompagnare le forze politiche in un processo di assestamento che coincide con la fine della legislatura e il cambio nei numeri del Parlamento che il prossimo anno sarà ridotto di un terzo.
Nel discorso di fine anno che rappresenta una sorta di manuale d’uso per presidenti della Repubblica, c’è tutto Mattarella e stavolta non ci sarà nulla da scoprire in un Presidente della Repubblica che ha rivendicato in quello che sarebbe dovuto essere il suo ultimo discorso di fine anno, di aver sempre svolto «il mio compito nel rispetto rigoroso del dettato costituzionale».
Il Mattino