«Vedi, una statua gli devono fare... una statua... una statua allo zio Ciccio che vale. Padre Pio ci devono mettere allo zio Ciccio e a quello accanto... Quelli sono i...
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«Io ho le mie vedute... che c... vuoi?», prosegue uno dei due. «Significa essere colpevole? Arrestami. Che spacchiu (cavolo ndr) hai? Che fa? Non posso dire quello che penso?». «È potuto essere stragista... cosa minchia sia a me.. le cose giuste», spiega uno dei due che fa poi un paragone tra i boss e la classe politica. «Voialtri tanto mangiate. State facendo diventare un paese... l'Italia è uno stivale pieno di merda... uno stivale pieno di merda... le persone sono scontente? questo voi fate... e... glielo posso dire? Arrestami... che minchia vuoi?».
Lo spaccato che emerge dalle intercettazioni conferma il potere del capomafia latitante, arbitro indiscusso di affari ed equilibri nella provincia. Ed è emblematico anche della irriducibilità della mentalità mafiosa. Come quando Vittorio Signorello, uomo di fiducia del cognato del padrino, parla in termini raccapriccianti dell'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, «colpevole» di essere figlio di un pentito e per questo tenuto prigioniero per oltre 700 giorni, strangolato e sciolto nell'acido. «Allora ha sciolto a quello nell'acido, non ha fatto bene? Ha fatto bene», dice Signorello. «Se la stirpe è quella... suo padre perché ha cantato?», conviene l'interlocutore. Il mafioso rincara la dose, esaltando la decisione di Riina di eliminare il bambino di soli 13 anni come giusta ritorsione rispetto al pentimento del padre, colpevole di avere danneggiato Cosa nostra.
«Ha rovinato mezza Palermo quello...
Il Mattino