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Alla fine il tanto atteso confronto tra Giorgia Meloni ed Enrico Letta c’è già stato. La cornice però non è uno studio televisivo, ma il meeting di Rimini 2022. Sul palco di Comunione e liberazione infatti, tra frecciatine su presidenzialismo e sport, e notevoli differenze di vedute, per più di due ore la leader di Fratelli d’Italia e il segretario del Partito democratico si sono confrontati. Con loro anche il coordinatore azzurro Antonio Tajani, il “capitano” leghista Matteo Salvini, il papà della legge elettorale Ettore Rosato di Italia Viva, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (Impegno civico) e il presidente di Noi con l’Italia Maurizio Lupi. Unico assente in pratica - non senza polemica - l’avvocato cinquestelle Giuseppe Conte. A fare gli onori di casa e dettare i temi del confronto, assieme al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, il presidente della Fondazione per la sussidarietà Giorgio Vittadini che non ha lesinato critiche. «I partiti devono partire dalla verità dei fatti, ma non è scontato di questi tempi - ha esordito Vittadini -. Che la verità c’entri con la politica, poi, è una bella pretesa». L’idea di fondo, spiegherà, è quella di riportare la politica tra la gente. E quindi ecco l’invito ai leader a parlare - tra le altre cose - di lavoro, scuola ed energia.
L’esordio, in una sala particolarmente calda a sostegno di Meloni e Lupi, è affidato a Di Maio. «Non possiamo aspettare il nuovo governo per risolvere questo problema: tra settembre e ottobre dobbiamo vincere in Ue la battaglia sul prezzo massimo al tetto del gas» spiega il ministro, difendendo l’operato del governo guidato da Mario Draghi (che sarà a Rimini oggi). Sulla stessa linea d’onda sia Lupi che chiede «un provvedimento straordinario» che Tajani («È un tema che riguarda le famiglie») e Rosato («Anche se oggi naturalmente la nostra posizione è più debole» dice alludendo alla caduta dell’esecutivo). Letta invece punta «a fare un’eccezione alle regole» perché «per 12 mesi ci siano prezzi amministrati e un tetto al prezzo del gas e dell’energia». Ma, tornerà sul punto il segretario dem attaccando Meloni, senza aspettare necessariamente che sia la Ue a garantire la soglia. «Mettere fine all’accoppiamento dei prezzi tra fossile e rinnovabile possiamo farlo noi». Dei suoi duecentoquaranta secondi a disposizione invece, Meloni approfitta per fare un passaggio sulle riforme promesse da Fratelli d’Italia proprio per rinsaldare la vicinanza con i cittadini. «Un parlamentare di una lista bloccata risponde al capo - arringa -. Il presidenzialismo serve a creare un legame diretto tra voto e governo, e serve alla stabilità». E sul punto, tra gli applausi, attacca frontalmente il dem. La riforma «non mi pare così impresentabile. Penso alla Francia e lo dico a Letta che è così amico dei francesi...». Sull’onda lunga meloniana Salvini prima rilancia sul fronte energetico con la necessità di puntare in fretta sul «nucleare pulito e sicuro» e poi sfodera uno dei temi cardine della sua campagna elettorale: il no alla legalizzazione delle droghe leggere. «Io da papà dico: mai nella vita governerò un Paese che permette di coltivare e consumare qualsiasi tipo di droga. Per me è morte».
Il tema è spaccato in due, tra Reddito di cittadinanza (che tutti concordano almeno di modificare, anche Di Maio) e salario minimo.
È sull’istruzione però che l’applausometro del pubblico ciellino dà il suo meglio. Stavolta ad iniziare è Tajani che riscalda l’ambiente sfoderando uno dei temi più cari alla platea: . «Serve un bonus, troppe scuole non statali stanno chiudendo perché strangolate da una politica a loro contraria». C’è il «diritto di educare da cristiani i nostri figli», fa notare nell’assenso generale. Salvini invece ne approfitta per attaccare il leader di Azione Carlo Calenda e la sua proposta provocatoria del cosiddetto «liceo per legge». «Così Calenda denota ignoranza» affonda il leghista, che strappa applausi rimarcando prima la necessità di spingere su istituti tecnici e professionali, poi sul tema dell’eliminazione dei test di ingresso per la facoltà di medicina («Copiamo il sistema francese con il primo anno aperto a tutti. Una scelta a costo zero») e infine sull’estensione di «detraibilità» e «gratuità» dei libri di testo anche a scuole medie e superiori. Nel rispondere il renziano Rosato prova a far di conto e spiega proprio a Salvini che «le scelte di investimento sulla scuola sono onerose», le riforme «a costo zero sono inesistenti». Piuttosto bisogna investire sugli insegnanti perché le «retribuzioni attuali lo rendono un lavoro di ripiego».
Un punto questo, su cui si trova d’accordo con Letta. Che anzi, registrando l’interesse di tutti, invita i presenti a prendere l’impegno di portare, entro il 2027, lo stipendio degli insegnanti «ai livelli europei». Sulla scuola però il segretario Pd scivola (almeno secondo i ciellini) e, quando propone di estendere l’obbligatorietà dalla scuola dell’infanzia «fino alla maturità», viene fischiato dalla sala. Per Lupi invece, un po’ come rimarcato anche da Tajani e in seguito anche da Di Maio, il nodo è stabilire non «un’alternanza tra scuola e lavoro, ma un’alleanza». Inoltre, l’invito del presidente dell’intergruppo parlamentare per la sussidarietà, è anche quello di rendere la natalità una priorità. «Spendiamo l’1% del Pil, contro una media europea dell’1,8» dice. Bisogna comprendere, spiega, «che spendere per i figli è un contributo» che le famiglie danno al Paese. Meloni dal canto suo ribadisce la necessità di spingere sul fronte del merito e dell’uguaglianza. «Serve un sistema serio di borse di studio» e «reintrodurre i voti nella scuola primaria». Poi, tra gli applausi dei romagnoli, lancia l’idea di «un liceo del Made in Italy», per agganciare «ad un’eccellenza» l’istruzione italiana. Immancabili infine gli strascichi delle polemiche sullo sport. Ne «serve di più per tutti. Anche se tu non sarai d’accordo» dice a Letta, che poi si difende. «Il nostro programma sullo sport è stato elaborato da Mauro Berruto ex ct della Nazionale di pallavolo».
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