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Una «piccola parte» della magistratura “rema” contro il governo. La «stragrande maggioranza» no. Giorgia Meloni ne fa una questione di numeri. Da Dubai, tra un vertice e l’altro della Cop28, il summit mondiale sull’ambiente, la premier nega l’esistenza di uno scontro frontale tra maggioranza e toghe. E blinda il “suo” Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia rinviato a giudizio per rivelazione di segreto d’ufficio: «È il caso di aspettare una sentenza passata in giudicato per definirlo colpevole».
LA LINEA
Prosegue qui, tra i grandi del mondo riuniti nella capitale emiratina, l’operazione del governo per sgonfiare l’ennesima polemica tra poteri dello Stato. O meglio, circoscriverla. Meloni torna sulle parole di Guido Crosetto e il j’accuse del ministro della Difesa contro una magistratura “politicizzata”, poi in parte rientrato, che da una settimana scuote i palazzi della politica e della giustizia. «Non penso ci sia uno scontro tra politica e magistratura», dice. Il «problema» risiede altrove, in quella «piccola parte della magistratura», spiega Meloni riafferrando il fioretto, convinta che «i provvedimenti che non sono in linea con una certa visione del mondo debbano essere contrastati». La stoccata, ma la premier non fa nomi, è per le toghe che nelle scorse settimane hanno preso di mira la riforma costituzionale del premierato e i provvedimenti sulla Giustizia. Ancora Meloni: «Ho trovato francamente fuori misura dire che la riforma costituzionale aveva una deriva antidemocratica, mi sembrano dichiarazioni che vanno bene per la politica».
Di più: «Parole un po’ fuori dalle righe». A stretto giro arriva la risposta piccata di Magistratura democratica, la corrente di togati al centro del duello con Palazzo Chigi: «L’aggressione politico-mediatica che ci ha investito non ha alcuna giustificazione». Insomma le posizioni restano distanti in questa nuova sfida tra poteri che vede per ora il Quirinale nel ruolo di arbitro silenzioso. Meloni non schiva i casi che l’hanno inseguita fin nel Golfo persico. Come il processo che presto si aprirà per Delmastro, fedelissimo sottosegretario a via Arenula imputato per aver passato informazioni riservate sul caso Cospito all’amico e compagno di partito Giovanni Donzelli. Il messaggio della premier è fin troppo chiaro: Delmastro non si tocca, a meno che non ci sia una sentenza «passata in giudicato». Opposizioni avvisate, alleati anche. Sul resto la timoniera del governo smorza, allenta i toni. È il caso della “madre di tutte le riforme”, il premierato targato Fratelli d’Italia a cui perfino il mite Gianni Letta ha mosso una critica, rompendo un lungo silenzio stampa. «Non ci ho visto parole di contrasto, la riforma ovviamente si può criticare», sospira Meloni.
LE RASSICURAZIONI
Poi entra nel vivo dell’appunto mosso dall’eminenza grigia di Forza Italia che giovedì ha fatto sobbalzare Palazzo Chigi. Il premierato interverrà sulle prerogative del Quirinale, cioè di Sergio Mattarella? «Su questo non sono d’accordo, la riforma è stata scritta per non toccare i poteri del presidente della Repubblica. Anzi, mi viene contestato proprio questo, di aver lasciato (al Colle, ndr) la nomina dei ministri». Altro che Letta, «il problema è se l’Anm dichiara che questa riforma è un attacco alla magistratura», rilancia la presidente del Consiglio.
Il Mattino