Motori a gasolio, ​la «guerra» è globale

Motori a gasolio, la «guerra» è globale
ROMA. C'era da aspettarselo. Le onde del sasso lanciato nell'oceano hanno attraversato l'Atlantico, infrangendosi sulle spiagge europee dove il diesel è...

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ROMA. C'era da aspettarselo. Le onde del sasso lanciato nell'oceano hanno attraversato l'Atlantico, infrangendosi sulle spiagge europee dove il diesel è l'incontrastato re della scena e non un motore di nicchia per pochi appassionati come negli States. Sarà forse un caso ma, appena le agenzie per l'ambiente americane hanno di nuovo acceso i riflettori sulle emissioni dei motori a gasolio, le campanelle hanno iniziato a trillare a Bruxelles e nelle principali capitali del continente, coinvolgendo Berlino, Parigi e Roma. A Washington come a Tokyo non hanno mai amato il diesel. In Giappone, però, le vendite sono quasi totalmente controllate dai costruttori locali che usano poco il gasolio, mentre gli Stati Uniti sono il secondo mercato del pianeta dopo la Cina, una ricca torta in grado di attirare tutti i giganti del settore. Così si è da tempo scatenata una guerra, o almeno un braccio di ferro, per difendere i diversi approcci e le differenti tecnologie.


Negli States i limiti delle emissioni sono più stringenti e, soprattutto, sono più severe le procedure di omologazione. Quello che può andar bene in Europa è fuori legge in America dove servono dispositivi di trattamento dei gas di scarico e software di gestione più sofisticati e costosi. Ma il villaggio è globale e mediaticamente quello che accade in un continente rimbalza nell'altro riaccendendo polemiche e discussioni. Dopo il caso Volkswagen del 2015 soprattutto nell'Unione Europea c'è stato uno sforzo comune per tenere bassa la pressione poiché al diesel è legata a doppio filo più o meno l'intera industria automobilistica continentale che genera miliardi di Pil e dà lavoro a milioni di persone. 

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