Se, come sostengono gli analisti, al referendum la Campania sarà determinante come la Florida alle elezioni presidenziali americane, allora la partita si gioca soprattutto...
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Lo si è capito già dalle prime battute di quest'infuocata campagna elettorale, che ha visto in prima linea il sindaco de Magistris e il governatore De Luca, impegnati pancia a terra rispettivamente per il No e per il Sì. Ma il capoluogo partenopeo e la Campania sono stati anche crocevia della battaglia che si sta combattendo a livello nazionale a suon di veleni e polemiche: basti pensare che solo nelle ultime tre settimane il premier Renzi è stato protagonista di cinque appuntamenti, tra visite istituzionali e politiche (prima a Pozzuoli, dove ha presenziato alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico delle Scuole di formazione dell'Aeronautica militare, poi a Napoli per chiudere l'assemblea nazionale sul Mezzogiorno promossa da De Luca, quindi a Benevento e Caserta lo stesso giorno per due comizi sul referendum, infine ad Ercolano e l'altro ieri a Napoli per la chiusura della campagna referendaria al Sud).
All'ombra del Vesuvio sono inoltre arrivati molti ministri (Boschi, Delrio, Franceschini, Alfano, Calenda) e persino numerosi sindaci provenienti da ogni parte d'Italia, che hanno partecipato a due appuntamenti in favore del Sì: al chiostro di Santa Caterina a Formiello, in particolare, si sono ritrovati la settimana scorsa Antonio Decaro (Bari), Matteo Ricci (Pesaro) Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria), Giorgio Gori (Bergamo) e Dario Nardella (Firenze). Quest'ultimo, originario di Torre del Greco, ne ha anche approfittato per riscoprire i luoghi del suo passato da musicista: ad accompagnarlo nel tour è stata la dirigente del San Carlo Emmanuela Spedaliere, circostanza che ha fatto infuriare de Magistris (secondo cui i vertici del San Carlo si sarebbero schierati al fianco di Renzi, accuse respinte dalla sovrintendente Purchia). La posta in gioco, del resto, è alta. E potrebbe avere conseguenze importanti sul piano politico, non solo a Roma ma anche qui. Ne è consapevole De Luca, che sta affrontando una sfida personale all'interno di quella renziana per il via libera al referendum. A prescindere dal risultato finale, infatti, il governatore vuole che la spunti a tutti i costi il Sì in primis in Campania. In questo modo, osserva chi lo conosce bene, De Luca avrà vinto comunque.
Già, perché se a livello nazionale dovesse trionfare il fronte del No, la Campania resterebbe sempre un feudo del Pd. Viceversa in caso di successo del Sì il risultato della regione sarebbe di sicuro determinante. A quel punto, forte di un rapporto ancor più stretto con il premier-segretario, De Luca potrà rivendicare una corsia preferenziale con Palazzo Chigi sui problemi da risolvere e sulle risorse da sbloccare, oltre a conquistare maggiore peso all'interno del partito. Sul terreno opposto il sindaco conduce la sua battaglia a distanze siderali dal governo Renzi e, negli ultimi tempi, anche dal presidente della Regione. Una battaglia finalizzata alla vittoria del No, che da un lato cancellerebbe le modifiche alla Costituzione e dall'altro indebolirebbe inevitabilmente la causa renzian-deluchiana rafforzando viceversa il fronte costituito dalle proposte politiche alternative.
Tra queste figura appunto anche il movimento arancione che fa capo a de Magistris e che ha costruito la sua forza sull'orgoglio e sull'autonomia partenopea, concetti ribaditi ieri dall'ex pm in un post su Facebook: «È impressionante la potenza oggi della nostra città - scrive - Da ultimo Ryanair che investe nel nostro aeroporto.
Il Mattino