Notre-Dame a un anno dall'incendio. L'architetto Carlo Blasi: «Pronta la rinascita, ma il Covid ha fermato tutto»

L'interno di Notre-Dame, foto STUDIO COMES
Le macerie nella navata sono state rimosse con un robot e ricoverate in speciali depositi come tante vittime di una tragedia. I vertiginosi archi rampanti che puntellano il...

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Le macerie nella navata sono state rimosse con un robot e ricoverate in speciali depositi come tante vittime di una tragedia. I vertiginosi archi rampanti che puntellano il profilo della cattedrale sono stati messi al sicuro grazie al montaggio di titaniche centine in legno. E lui, «il mostro» come lo chiamano a Parigi, il ciclopico ponteggio fuso sul tetto, dove ha avuto inizio l’inferno, stava per essere smontato. «Una procedura complessa, con gli operai sospesi ad una gru a tagliare blocchi di ferro da portare via. Avevamo appena cominciato quando il 16 marzo l’emergenza del coronavirus e il contingentamento ci hanno fermato». Lo racconta con l’amarezza nella voce, Carlo Blasi, architetto fiorentino di lunga carriera (sua la ricostruzione del Petruzzelli di Bari), uno dei massimi esperti in strutture di edifici storici, in prima linea con il suo Studio Comes nella fase delicata della messa in sicurezza di Notre-Dame, di cui ricorre un anno dal tragico incendio.

 
Ieri, in una Parigi stretta dalla quarantena, nel venerdì di Pasqua, una cerimonia commovente in forma intima ha celebrato la cattedrale e la reliquia della corona di spine salvata dalle fiamme di quel 15 aprile. Presenti l’arcivescovo Michel Aupetit e una delegazione con gli attori Judith Chemla e Philippe Torreton che hanno letto poesie sulle note del violinista Renaud Capuçon. Il colpo d’occhio colpisce il cuore. Lo squarcio sul tetto della crociera centrale tra la navata e il transetto è coperto da teloni di plastica protettiva, molli come sudari. «A parte due pilastri con lesioni superficiali, i danni veri sono sul complesso delle volte», racconta Carlo Blasi che dopo il lockdown è dovuto rientrare nella sua Firenze.

L’illustre architetto già lo scorso ottobre aveva tenuto una conferenza organizzata a Roma, a Palazzo Farnese, dall’Ambasciata francese. «Purtroppo resta il grosso problema del ponteggio fuso, dove le aste di ferro e acciaio sono aggrovigliate - spiega l’architetto - Per smontarlo dobbiamo ricorrere ad un’operazione complicata con gli operai sospesi a cavi collegati ad una gru alta cento metri che lavorano come acrobati per tagliare pezzo a pezzo la griglia di metallo fuso, sollevarlo e portarlo via, sempre in modalità aerea». Ma prima di smontare è stato necessario rinforzare le strutture sopravvissute al fuoco: troppo alto il rischio che cedessero. «Abbiamo completato tutte le operazioni di puntellamento delle murature con speciali centine in legno per ciascuno degli archi rampanti - dice Blasi - Gli archi rampanti di Notre-Dame sono i più lunghi e snelli delle architetture gotiche: un unicum, perché non hanno appoggi intermedi, a differenza per esempio della cattedrale di Chartres».

Il crono-programma per la rinascita di Notre-Dame era chiaro: «Entro il primo giugno - precisa Blasi - si sarebbe dovuto completare tutto lo smontaggio del vecchio ponteggio e terminare la diagnostica strutturale della cattedrale, per avviare la fase del progetto di restauro finalizzato poi alla ricostruzione». Ora la tabella di marcia deve seguire i tempi del coronavirus. Anche perché il cantiere di Notre-Dame ha una particolarità. «C’è il problema della presenza delle polveri di piombo - ricorda l’architetto fiorentino - Per questo nel cantiere è stata allestita una struttura con speciali docce e spogliatoi comuni dove gli operai devono sempre cambiarsi secondo le norme sanitarie». Una situazione che fa i conti con le prescrizioni della distanza di sicurezza. I tempi per la ripresa sono dilatati.


Quanto al modello ricostruttivo si avanzano ipotesi: «Il tema allo studio è quello di ricostruirla così com’era - riflette Blasi - ripartire cioè dal modello delle sue strutture murarie e in legno, magari migliorandole. Notre-Dame è un edificio storico dove la sperimentazione costruttiva ha funzionato per secoli. Ripercorrere questa strada può dare garanzie. Per esempio, molte pietre sagomate degli arconi sono state recuperate dalle macerie e saranno riutilizzate per ricostruire le lacune delle volte distrutte». La prospettiva dei cinque anni per ricostruirla sono ancora validi? «Forse è più realistico - conclude Carlo Blasi - pensare ad una riapertura graduale».
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Il Mattino