Malesia e paesi dell'Est, ecco la nuova via della plastica

Malesia e paesi dell'Est, ecco la nuova via della plastica
Fino alle fine del 2017 ci era andata di lusso. Nella grande e silente pattumiera cinese, sversavamo con grande discrezione metà delle 200mila tonnellate di rifiuti in...

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Fino alle fine del 2017 ci era andata di lusso. Nella grande e silente pattumiera cinese, sversavamo con grande discrezione metà delle 200mila tonnellate di rifiuti in plastica che ogni anno l'Italia destina al riuso. Bastava aprire il portafoglio per liquidare senza troppe domande quell'enorme ammasso di scarti pari a 445 Boeing 747 a pieno carico, passeggeri compresi, che ci costavano ogni anno 60 milioni di euro. Ma quando a gennaio del 2018 il Dragone ha detto basta, il grande inganno del sistema globale del riciclo è venuto a galla, insieme alle sue magagne. È tutto nero su bianco nel nuovo report presentato pochi giorni fa da Greenpeace, Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti di plastica.

 
Banditi da Pechino da oltre un anno (dall'83,5 per cento del totale le nostre esportazioni sono crollate oggi al 2,8), le rotte degli scarti di lavorazione, cascami, rifiuti industriali e avanzi sono state riscritte. Più della metà della plastica italiana (pari a 197mila tonnellate nel 2018), è stata infatti spedita nell'Europa occidentale: 40mila tonnellate in Austria, 26700 in Germania, 18mila in Spagna, 8300 in Francia e 3300 in Svizzera. Ma all'improvviso è schizzata alle stelle la quota di scarti dirottati in Slovenia, dove l'anno scorso è stato preso in carico l'8 per cento del pacchetto italiano pari a 16.200 tonnellate. Notevole il balzo in avanti nell'Europa dell'Est, che oggi smaltisce l'8,8 per cento della nostra plastica. Tra il 2017 e il 2018 la Romania ha visto crescere del 385 per cento la quota di rifiuti inviata dall'Italia, pari l'anno scorso a quasi 9mila tonnellate e una spesa di 3,8 milioni di euro. E performance da record sono state registrate anche in Ungheria, dove sono arrivate 8500 tonnellate di spazzatura.

Ed è proprio l'export verso l'Europa dell'Est, a preoccupare la magistratura. Stati entrati da poco in Unione, «dove i controlli sono meno accurati e si privilegia l'interesse economico al rispetto della legalità, dell'ambiente e della salute umana», è l'allarme lanciato dal sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Roberto Pennisi. Un rischio che si ripropone amplificato, nei Paesi orientali individuati dall'Italia e dall'intero Occidente, in sostituzione della Cina. Lungo la via della Seta alternativa, l'Italia dissemina oggi nel complesso 40mila tonnellate di plastica da riciclare, un quinto della produzione. Quasi 13mila sono finite l'anno scorso in Malesia, dove nel 2018 le importazioni sono aumentate del 195,4 per cento rispetto al 2017. Ma un generoso contributo è stato dato anche da Vietnam e Yemen (10mila in totale), Turchia (7200 tonnellate, +191,5 per cento rispetto al 2017), e Thailandia (3600 tonnellate). Tutti Paesi accomunati da scarsi standard di recupero e riciclo. Il modello di export resta insomma quello cinese. Tonnellate di scarti di plastica di bassa qualità, (denominati fine nastro) lavorati in impianti fatiscenti spesso privi di sistemi di sanificazione e lavaggio «che poi tornavano indietro in Europa sotto forma di oggetti (giocattoli, contenitori, perfino biberon per neonati) realizzati con plastica contaminata», accusa il dossier di Greenpeace.


«Quando gli scarti erano esportati in Cina si spiega nel rapporto false certificazioni raccontavano del corretto trattamento cui erano sottoposti gli avanzi di materie plastiche prima dell'esportazione, nonché dei pieni requisiti dei destinatari su territorio cinese». I rischi sono però destinati a crescere a dismisura. L'ingresso dinuove nazioni nel business del riciclo non è riuscito infatti a pareggiare i quantitativi di rifiuti esportati in passato. Prima del bando cinese i 21 Paesi più industrializzati portavano fuori sede 1,1 milioni di tonnellate di plastica al mese, oggi appena 500mila. E dato che la produzione di plastica è destinata a raddoppiare entro il 2025, la profezia è facile da formulare. L'Italia è oggi dotata per lo più di impianti per il riciclo di piccole dimensioni che trattano tra le 3 mila e le 5mila tonnellate/annue. Non sono più di cinque quelli che riescono a lavorarne 50 mila tonnellate. Pertanto delle due l'una. O si aumentano gli impianti di riciclo e si limita fortemente la produzione di plastica monouso che oggi costituisce il 40% della produzione globale, o il Belpaese e l'intero Occidente rischiano di finire sommersi dalla plastica. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino