«Volevano che noi rifacessimo la Margherita e loro i Ds, ma Fassino e Veltroni hanno chiarito che indietro non si torna e, soprattutto, che non sono loro a essere i...
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Le dimissioni da segretario e l’avvio della fase congressuale sembrano sollevare Renzi dal compito di guidare un partito alle prese ora con una lunga serie di appuntamenti procedurali. «Ora è tutto in mano ad Orfini», sostiene l’ex segretario che dice di volersi concentrare sull’appuntamento del 10 e 11 marzo al Lingotto. Due giorni a discutere di programma in un luogo non casuale visto che proprio nei padiglioni dell’ex fabbrica Fiat di Torino, Walter Veltroni nel 2007 lanciò la sua candidatura a primo segretario del Pd. Un anno appena e poi il leader dell’“I care” fu costretto al passo indietro da Massimo D’Alema. Il ricordo che dal palco fa lo stesso Veltroni della sinistra rissosa degli ultimi vent’anni non poteva non iniziare con il ‘98 quando D’Alema fece cadere il governo Prodi per sostituirlo a palazzo Chigi. Stesse lotte intestine e nomi che ricorrono anche ora che la scissione sembra cosa fatta. Almeno per la sinistra bersaniana che sino all’ultimo aspetta, invano, la replica dell’ex segretario.
Lui, Renzi, è convinto di aver fatto molte concessioni pur di tenere unito il partito. I tempi del congresso sono più lunghi di quelli immaginati dall’ex sindaco di Firenze. Di voto a primavera non parla più da tempo e «il rapporto con Paolo (Gentiloni ndr) è fuori discussione», sostiene Renzi. La speranza di poter cambiare la legge elettorale resta, anche se l’ormai ex segretario non si fa troppe illusioni visti i “no” dei pentastellati e l’attendismo di Berlusconi.
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Il Mattino