La sentenza della Consulta, sicuramente inattesa, non fa cambiare strategia al gruppo Benetton. Anzi. Rafforza l'idea, anzi la necessità, di continuare a trattare. E a...
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È evidente che dopo il giudizio della Corte Costituzionale, la posizione negoziale dell'esecutivo esce molto rafforzata, anche se l'affidamento pur temporaneo della gestione del nuovo ponte, rappresenta comunque uno spiraglio. Nessun infatti, al di là delle differenti posizioni tra Dem e 5Stelle, pensa di sostituire Aspi con l'Anas. Sopratutto nessuno vuole perdere i massicci investimenti previsti da Atlantia sulla rete autostradale. Senza contare che la Gronda di Genova, anche questa affidata al concessionario, è stata inserita tra le opere strategiche da realizzare.
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Il gruppo privato auspica che la trattativa sia scevra da pregiudiziali ideologiche. Anche perché fino ad oggi la proposta fatta recapitare ai ministeri delle Infrastrutture, al Tesoro e a Palazzo Chigi non ha avuto nessuna risposta, né formale né informale.
Questo pomeriggio, salvo colpi di scena, i vertici di Autostrade faranno visita alla ministra Paola De Micheli per quella che si annuncia la trattativa finale, il vertice decisivo per chiudere il cerchio o rompere definitivamente. Il ricorso alla Corte di Giustizia Ue resta sempre sullo sfondo, ultima carta, ma l'obiettivo principale è quello di continuare a discutere, evitando il contenzioso legale. Sul tavolo non c'è solo l'apertura del capitale di Aspi a nuovi soci pubblici, Cdp o Invitalia, per evitare la revoca della concessione. Ma anche la richiesta del governo di abbassare ulteriormente i pedaggi da qui ai prossimi anni, adottando il modello dell'Art, l'autorità del settore, che taglia radicalmente i profitti delle società concessionarie, inserendo limiti ben chiari.
Dal gruppo privato non trapela nulla di ufficiale in vista del summit di oggi. Bocche cucite. Ma sotto traccia la trattativa non si è mai interrotta, anche se Aspi ha fatto capire che al di là di una certa soglia non si può andare e che l'equilibrio economico finanziario della società resta un muro invalicabile. Con ogni probabilità i 2,9 miliardi messi in campo potrebbero aumentare ancora, così come i progetti di investimento. Oltre un certo limite nessuno però potrà spingersi, anche perché c'è sempre la spada di Damocle del Milleproroghe che di fatto ha azzerato la capacità di Aspi di finanziarsi sul mercato e messo a rischio l'indennizzo pieno della concessione in caso di revoca.
Ora la società si presenterà al vertice, non solo ricordando il profondo e radicale cambiamento del suo management e di tutti i processi aziendali, ma con un pacchetto di 2 miliardi da investire in spese di manutenzione e cura della rete, di cui 550 milioni nel solo 2020. Soldi messi a disposizione dalla capo gruppo Atlantia, poiché lo scorso gennaio Aspi, a causa proprio dell'art 35 del Milleproroghe, ha subito un downgrade del proprio rating a livello spazzatura che ha bloccato l'accesso al credito. Con la possibile revoca della concessione, ragionano al Mit e al Tesoro, verrebbe meno non solo la spinta al Pil di questi investimenti, ma sarebbero a rischio anche i 7 mila posti di lavoro dei dipendenti di Autostrade. Due ragioni su cui riflettere con attenzione, ben al di là del nodo revoca.
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Il Mattino