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Uno a Palermo e l’altro a Città della Pieve. A Roma Sergio Mattarella e Mario Draghi lasciano i leader di partito alle prese con le riunioni di coalizione in streaming e le assemblee dei rispettivi grandi elettori. Sta a loro trovare l’intesa sul nuovo inquilino del Quirinale e sta ai leader della larga maggioranza e non solo, siglare quel patto che dovrebbe permettere alla legislatura di continuare stringendosi intorno al governo in carica o costruendone uno nuovo di zecca.
IL POSTO
Come era inevitabile i due problemi, Quirinale e futuro del governo, si intrecciano ed è sempre più evidente che non basta lasciare Draghi a Palazzo Chigi, e concentrarsi sulla scelta del Capo dello Stato, per risolvere i tanti nodi dovuti ad un Parlamento balcanizzato e che nell’attuale legislatura ha sfornato tre governi con maggioranze spurie rispetto a quanto proposto agli elettori. Ad amareggiare Draghi anche il teatrino messo in scena dal centrodestra che conta due partiti che dicono che Draghi deve rimanere al suo posto perché «unico e troppo bravo» e un altro che lo contesta anche nel ruolo di premier. I tempi si allungano e le prime tre votazioni, dove sono necessari i due terzi per essere eletto, andranno probabilmente all’insegna dei candidati di bandiera, con il centrosinistra che potrebbe votare per Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio.
I «dubbi» emersi ancora una volta ieri nel quadro dirigente del M5S riunito da Giuseppe Conte, sono legati soprattutto all’inevitabile cambio di governo che si renderebbe necessario qualora Draghi dovesse succedere a Sergio Mattarella. Dubbi trasversali, «ma nessun veto», si apprestano a precisare, che investono l’esecutivo, che tagliano tutti i gruppi e che solo un patto di ferro tra le forze politiche potrebbero fugare. Un’intesa politica che dovrebbe sussumere, e in un certo senso rinnovare, quella a suo tempo proposta un anno fa ai partiti dal presidente Mattarella.
È questo l’obiettivo dell’incontro che Enrico Letta avrà a breve con Matteo Salvini.
Resta il fatto che al tentativo di essere coinvolto nella soluzione del rebus-governo, Draghi ha opposto la Costituzione. Immaginare che l’attuale presidente del Consiglio possa partecipare alla scelta del suo successore, o dare da presidente del Consiglio garanzie sul futuro della legislatura, è del tutto fuori dalla Carta anche se molti parlamentari legano il proprio voto alla certezza di eleggere un Capo dello Stato che garantisca la legislatura. Una rassicurazione che non intende dare Draghi, se non l’auspicio già espresso il 22 dicembre nel corso della conferenza stampa, ma che non potrà dare nessun altro candidato, soprattutto perché è complicato che qualcuno possa parlare per conto di Draghi.
Un ragionamento che se non è un avviso poco ci manca e che rimanda al monito che il segretario del Pd ha rinnovato nell’ultima direzione del partito. In quel «non possiamo permetterci di perdere Draghi» di Letta c’era un misto di preoccupazione e di richiamo al senso di responsabilità che dovrebbe portare le forze politiche a trovare un accordo di fine legislatura anche se Draghi dovesse succedere a Mattarella. Eppure con sei ministri tecnici, escluso Daniele Franco che dovrebbe comunque rimanere all’Economia, poltrone disponibili per assecondare le richieste dei partiti dovrebbero esserci.
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Il Mattino