Quando Pannella fu eletto al Consiglio comunale di Napoli, Geppy Rippa aveva già lasciato il Partito radicale dopo una scissione che portò alla fondazione del...
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Rippa, perché arrivò alla scissione dal Partito radicale?
«Con Marco arrivammo al contrasto perché aveva un'idea organizzativa di un partito non strutturato. Più da movimento, che non ritenevo possibile nel quadro politico di allora».
Quindi non seguì la campagna elettorale a Napoli?
«No, ci dividemmo l'anno precedente. Ma io sono sempre rimasto convinto che Pannella è stato uno dei 6-7 leader che hanno segnato la vita della nostra Repubblica. Praticava una politica di alterità, come diceva Pasolini. Più che cavalcare l'esistente, era promotore dell'ampliamento di cambiamenti che voleva pilotare».
Quali temi di battaglie ricorda, in particolare?
«Ce ne sono tanti, i diritti delle donne, il voto ai diciottenni, l'obiezione di coscienza, i diritti civili, la tutela delle diversità».
La differente visione sulla gestione del Partito radicale ha portato anche ad una sua lontananza dall'esperienza di Pannella a Napoli?
«Lo seguivo da iscritto al partito transnazionale. Mentre negli altri partiti si consolidava una visione verticistica, i radicali vivevano dell'estemporaneità di un leader che non si preoccupava di creare un gruppo dirigente. Eppure, le sue innumerevoli intuizioni sono state innovative, veri e propri spartiacque politico-culturali. Ricordo, tanti anni fa, anche i temi dell'immigrazione, della fame nel mondo, dell'emarginazione dei Paesi africani dallo sviluppo economico, o dell'Iraq libero».
E a Napoli?
«Napoli fu luogo di battaglia per la giustizia, che partiva dalla vicenda di Enzo Tortora che noi seguimmo molto sui Quaderni radicali. Con i ciclostili di Agenzia radicale, diffondemmo questi argomenti che sentivamo anche nostri e li estendemmo a giornalisti come Biagi, Montanelli, Bocca».
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Il Mattino