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L'allievo contro il maestro? DeSantis contro Trump? Il governatore della Florida è oggettivamente l'unico vero grande vincitore di queste elezioni di midterm. E adesso, da qui al 2024, è davvero pronto a tutto. Persino a sfidare il suo padre politico. Persino a diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti d'America.
Paradossalmente, insomma, in una sorta di gara a destra tra chi sogna di posizionarsi ancora più a destra, è proprio lui l'anti Trump. Quarantaquattro anni, ex militare in missione tra Guantánamo e Iraq, figlio delle migliori università americane di Yale e di Harvard, italiano fino al midollo, in particolare campano. Otto bisnonni, tutti delle nostre parti. Specie la trisavola Luigia Colucci, che partì da Castelfranci in provincia di Avellino nel 1917. Con un tocco di Caserta e dintorni, ma con dentro pure tanto Abruzzo, con la Pacentro di un altro repubblicano di punta, l'ex segretario di Stato Mike Pompeo.
Qui il primo paradosso di Ronald detto Ron DeSantis: nipote di immigrati, contro gli immigrati. Su un tema tanto delicato, la sua politica è chiara, netta, feroce: immigrazione zero. In uno Stato e in una città in cui la costa di Cuba si vede a occhio nudo, in cui gli esuli arrivano tra imbarcazioni di fortuna e talvolta addirittura a nuoto, il governatore, delle cosiddette risorse, proprio non ne vuole sapere. Al punto da provocare, da prenderli e redistribuirli tra i quartieri e tra le geografie dei ricchi, fino a Martha's Vineyard, l'isola dei milionari vicina a Cape Cod in Massachusetts. «Volete accoglierli?», grida a sinistra, «e allora teneteveli stretti».
Sul fronte di altri dossier, almeno altrettanto delicati, le cose si mettono addirittura peggio.
In chiave Ambiente, infine, il governatore freschissimo di rielezione non nega il cambiamento climatico, ma non ne è di certo un fan. Niente auto elettriche, dunque. Qui vanno ancora di moda i motori di grossa cilindrata, Mustang e fuoristrada che rombano a ogni angolo di strada, stazioni che pompano benzina a fiumi, peraltro ai prezzi più bassi d'America.
Intanto il prodotto interno lordo della Florida vola nonostante il resto del Paese sia stretto nella morsa di un'inflazione galoppante (record quarantennale a doppia cifra, ndr), di una crisi energetica senza precedenti, di un mercato del lavoro che non decolla e di un'economia tuttora in affanno dopo due anni e mezzo di restrizioni e di chiusure. Business, imprenditoria, mercato immobiliare. Tutto, tutto sta letteralmente schizzando alle stelle. Tutti vogliono venire qui, tutti vogliono vivere qui.
La vittoria di DeSantis è chiara, e va ben al di là della sua ultima riaffermazione elettorale. Burocrazia snella, roba che è possibile aprire una società letteralmente in una mattinata. E, aspetto ancora più importante, zero tasse. Anche in questo caso letteralmente: zero. Negli Stati Uniti, i livelli fiscali sono diversi. Si va dalle tasse federali, quelle cioè imposte da Washington. Ci sono poi i piani statali, di contea e di città. Ebbene questo triplice scalone ulteriore qui è stato abbassato fino a essere appunto azzerato. Con il capolavoro nel capolavoro di non aver eroso quei servizi di cui i cittadini, in ogni angolo della Florida, si dicono per larghissima parte entusiasti.
Vincendo la battaglia contro il Covid, o meglio facendo prevalere la calma e la ragione sull'isterismo e sulla paura, nel quadro della gestione della pandemia, DeSantis ha stravinto la battaglia dell'economia. E si prepara, adesso, all'ennesima battaglia politica. Rischiando, naturalmente tra virgolette, di vincere pure quella, quella contro il suo padre politico.
L'allievo contro il maestro, sì. Da queste elezioni di metà mandato, e chissà, magari fino alla Casa Bianca 2024: DeSantis contro Trump.
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