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Le sanzioni occidentali stanno condizionando davvero l’economia russa? Difficile calcolarlo con precisione, visto che ballano i numeri di vari osservatori. La Banca Mondiale stimava a luglio una contrazione dell’11,2% rispetto al semestre 2021, la Commissione Europea del 10,4%, l’Ocse del 10%. Le stesse istituzioni di Mosca sono pessimiste: per il ministro dello Sviluppo Economico russo il calo è del 7,8%, per la Banca Centrale della Federazione Russa dell’8-10%. Sicuramente l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale ha evidenziato come il Paese grazie alla tenuta dell’export energetico frenerà il crollo del Pil al 6%, di fronte a una stima iniziale dell’8,5%.
Ma una decina di grandi banche europee (tra cui qualcuna italiana) utilizzano per i loro ragionamenti sul futuro delle relazioni con Mosca e dintorni, l’aggiornamento all’1 settembre di uno studio dell’Università di Yale basato su dati di società, banche, consulenti e partner commerciali russi: emerge un quadro tutt’altro che rassicurante. Secondo le ultime elaborazioni, l’economia russa è stata colpita duramente sia dalle sanzioni sia dall’esclusione dal commercio internazionale. Anche se Mosca è stata comunque in grado di guadagnare miliardi di dollari con la vendita di petrolio e gas a prezzi elevati, secondo il report fresco di stampa gran parte della sua attività economica interna è bloccata dall’invasione del 24 febbraio.
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LA DIPENDENZA
Lo sforzo del Cremlino di sostituire attività, prodotti e talenti non ha funzionato.
Putin ha promosso un programma di sostituzione di alcune importazioni con prodotti nazionali e ha creato un cuscino di riserve finanziarie, ma l’industria nazionale era comunque sostenuta da investimenti stranieri e dall’import di componenti tecnologici che ora è bloccato. Secondo Yale, circa 1.150 aziende straniere hanno interrotto le loro attività nel Paese, causando la perdita di 5,2 milioni di posti di lavoro. La produzione industriale è precipitata e le spese dei consumatori sono scese a fine agosto del 15-20% rispetto a un anno fa.
Preoccupano le importazioni, anche quelle dalla Cina che sono scese del 52% sempre a fine agosto, secondo lo studio Yale. Per avere il polso esatto della situazione è sufficiente analizzare lo stato di salute del settore automobilistico. Le vendite di auto sono passate da 100mila a 27mila al mese e la produzione si è bloccata a causa della mancanza di componenti e macchinari. Senza l’accesso ai componenti importati, i produttori russi stanno realizzando auto senza airbag, senza i moderni freni antibloccaggio e solo con cambio manuale.
Il Mattino