Sangue infetto a Latina, ancora una condanna contro il Ministero della salute

Sangue infetto a Latina, ancora una condanna contro il Ministero della salute
«Il sangue che arriva da Latina non è buono». Quando ha scoperto di avere l'epatite C - nel 2012 - si è ricordato la frase sentita all'ospedale...

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«Il sangue che arriva da Latina non è buono». Quando ha scoperto di avere l'epatite C - nel 2012 - si è ricordato la frase sentita all'ospedale di Cori trenta anni prima e ha ricostruito come poteva aver contratto il virus.


Oggi il Tribunale di Roma gli ha riconosciuto un risarcimento di 150.000 euro. Il giudice  Lilia Papoff  ha condannato il Ministero della Salute a risarcire un uomo di 75 anni di Cisterna di Latina. Si tratta dell'ennesimo provvedimento del genere, tra le decine che ogni settimana  vengono adottate nei Tribunali di tutta Italia.

L'uomo  - assistito dall'avvocato Renato Mattarelli - aveva già avviato il ricorso per ottenere l'indennizzo speciale previsto dalla legge  210/1992 (Indennizzi in favore dei soggetti danneggiati dalle trasfusioni di sangue) ottenendo un assegno vitalizio dal 2013.

«La sentenza di oggi  costituisce una prova che il sangue trasfusogli a Cori nel 1982 e proveniente dal centro trasfusionale di Latina era infetto con un grado di elevata probabilità, visto per altro, che non sono state rintracciate - dice l'avvocato - la scheda dei donatori del sangue trasfuso la cui esibizione avrebbe potuto dare la prova contraria della bontà e della qualità del sangue somministrato».

Nonostante il test del virus dell'epatite C venne approntato nel 1989, e reso obbligatorio per ogni donazione, la sentenza ha accolto la tesi medico-legale e giuridica  - ormai universalmente accettate - secondo cui esistevano già dal 1966 modalità di rilievo indiretto del virus dell'epatite C (prima noto come non A, non B) fra cui l'esclusione dalla donazione di sangue dei donatori con valori enzimatici del fegato elevati, l'obbligo di un test virale detto "di superficie" e l'obbligo di sottoposizione al calore umido e secco del plasma e degli emoderivati.


«È chiaro che se tutto ciò fosse stato effettivamente fatto e controllato dai sanitari  di Cori all'epoca della trasfusioni del 1982, l'uomo  non sarebbe stato infettato quando aveva solo 40anni».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino