Il garante Alesse: «Scioperi, legge inadeguata ma non si vuole cambiare»

Il garante Alesse: «Scioperi, legge inadeguata ma non si vuole cambiare»
«I lavoratori dei beni culturali vanno assoggettati alle norme che regolamentano il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, come quelli dei trasporti, della...

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«I lavoratori dei beni culturali vanno assoggettati alle norme che regolamentano il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, come quelli dei trasporti, della sanità, dell’ambiente. Per astenersi dal lavoro devono ottenere il via libera dall’Autorità».




Non ha dubbi Roberto Alesse, Garante per l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, all’indomani dell’ennesima astensione dal lavoro del personale degli scavi di Pompei.



«Il fatto è - spiega - che bisogna intervenire sulla legge, la 146 del 1990, che pur essendo stata più volte modificata, va adeguata ai tempi per conciliare maggiormente il rispetto costituzionale del diritto di sciopero con la salvaguardia delle esigenze della collettività», spiega.



Ma chi non vuole modificare la legge, avvocato Alesse? I partiti, i sindacati, il governo?

«È da tempo che come Autorità di garanzia chiediamo al governo e al Parlamento, che sono i nostri unici interlocutori, di intervenire: ma i nostri appelli sono sempre caduti nel vuoto». Perché? «Perché l’Italia è per certi aspetti un Paese troppo complesso. Ci sono molte spinte contrapposte che frenano iniziative riformiste. Ma il tempo è scaduto. Occorre avere coraggio a difesa della collettività e dell’immagine stessa del Paese. Tutti, dalla politica ai sindacati, devono fare questo sforzo».



Il governo Renzi è più sensibile rispetto ai governi precedenti?

«Per noi ogni governo equivale all’altro nel senso che il nostro dialogo è rigorosamente istituzionale. Il fatto è, e lo ripetiamo da tempo, che in questo Paese c’è bisogno di rilanciare il metodo di una concertazione ragionevole per uscire fuori da questa situazione di cronica gravità».



Concertazione non sembra la parola più gradita al premier...

«Io credo che non ci siano alternative se non vogliamo far saltare la coesione sociale. Il dialogo è la via obbligatoria. Per tutti».



Torniamo alla legge: cosa vorrebbe modificare in particolare l’Autorità per gli scioperi?

«Ci sono due alternative possibili: o il governo insieme a noi e alle parti sociali apre un confronto serrato sul piano tecnico per rimuovere le cause da cui origina il conflitto; oppure, sempre il governo, mette quanto meno l’Authority nella condizione di esercitare più poteri ispettivi e sanzionatori per prevenire il conflitto di lavoro. A partire dal potere di precettazione che deve essere conferito in modo autonomo anche all’Autorità, per finire alla possibilità di favorire conciliazioni tra le parti con riferimento alle principali controversie di lavoro».



Sanzioni più pesanti scoraggerebbero, secondo lei, i promotori di un’azione di sciopero selvaggio?

«Certo, ma non si garantisce il governo pubblico del conflitto ricorrendo soltanto all’esercizio del potere sanzionatorio, magari pure inasprito. La strada maestra è la prevenzione del conflitto. Bisogna sempre più calarsi nel merito delle controversie, cercando soluzioni di mediazione che le parti non riescono a trovare. Ma sempre, è ovvio, nel rispetto dell’autonomia negoziale delle parti stesse».



I sindacati vi hanno già mandato segnali forti, la Cgil in particolare. Il diritto di sciopero non si tocca, hanno detto...

«Il diritto di sciopero a costituzione vigente è intoccabile. A nessuno è dato di comprimerlo. Ma bisogna bilanciarlo con altre esigenze, come quella di avere servizi pubblici essenziali regolari, continuativi e gestiti con criteri di efficienza».



Che in tempi di crisi non è affatto facile.

«L’Italia sta attraversando una fase molto delicata dal punto di vista istituzionale perché la nuova classe politica sta tentando, a suo modo di vedere, di ammodernare il Paese: quella che viviamo è una fase di transizione delicata e dagli scenari ancora non del tutto definiti. Di sicuro dal mio punto di osservazione gli effetti della crisi economica incidono moltissimo sulle tensioni sociali nei servizi pubblici».



Nel senso che i problemi del Paese sul piano economico sono diventati un detonatore degli scioperi?

«Si sciopera anche perché è andato in crisi il sistema di finanziamento ai servizi pubblici essenziali. Quando girano meno soldi pubblici si investe di meno, non si rinnovano i contratti collettivi di lavoro, la recessione pesa nelle tasche dei lavoratori. Non è un caso che non si sciopera più nel privato mentre nel pubblico, e in particolare nei trasporti o nella raccolta dei rifiuti, siamo a livelli sconosciuti a ogni altro Paese europeo. Alla crisi va però associata la cronica incapacità dei sindacati e delle aziende che erogano i servizi pubblici essenziali di trovare un punto di accordo pur essendo loro, e soltanto loro, i principali protagonisti del conflitto».



Un sovrintendente può sopperire con la sua sensibilità a scioperi improvvisi come quello dell’altro giorno a Pompei?

«Ci sono stati atti di puro volontariato in condizioni particolari: ma non possiamo affidare la gestione di settori così importanti a comportamenti o iniziative di carattere spontaneistico».



I danni, ha detto lei stesso nella relazione al Parlamento, sono incalcolabili: ma la legge 146 non era nata per difendere soprattutto i diritti costituzionali dei cittadini?

«Verissimo, e i danni prodotti dagli scioperi, spesso neanche autorizzati, si pesano sempre a posteriori. Stiamo entrando nella fase delle vacanze estive che impedisce scioperi nei servizi pubblici essenziali: mi auguro che la tregua sindacale sia rispettata». Perché, c’è il rischio che non lo sarà? «Non posso escludere comportamenti irresponsabili che non troverebbero giustificazioni e imporrebbero all’Autorità di intervenire con tutto il suo attuale peso sanzionatorio».



Sapendo già che non basterà, è così?


«Noi abbiamo già detto cosa bisognerebbe fare: se non si esce definitivamente dalla crisi economica, occorre quanto meno raffreddare il conflitto sociale. Serve un nuovo intervento legislativo. Spetta al legislatore modificare la 146 del 1990». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino