Semestre bianco, gli ultimi sei mesi del presidente: ma non è un liberi tutti

Semestre bianco, gli ultimi sei mesi del presidente: ma non è un liberi tutti
Da pochi mesi insediatosi al Quirinale, nel settembre del 1963, il Presidente della Repubblica Antonio Segni mandò il primo messaggio alle Camere della storia repubblicana,...

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Da pochi mesi insediatosi al Quirinale, nel settembre del 1963, il Presidente della Repubblica Antonio Segni mandò il primo messaggio alle Camere della storia repubblicana, per porre all'attenzione del Parlamento la questione della rieleggibilità del Presidente. A quella riflessione si è riferito lo scorso febbraio Sergio Mattarella, in occasione del centotrentesimo dalla nascita dell'illustre sassarese, per fare il punto su una questione tuttora dibattuta.

Segni si chiedeva, quasi sessant'anni fa, se non fosse preferibile inserire nella Costituzione il principio della non immediata rieleggibilità del Presidente della Repubblica, invece di sottrargli, negli ultimi sei mesi del suo mandato, il potere di scioglimento delle Camere. L'istituto del cosiddetto semestre bianco era stato infatti introdotto dai padri costituenti per evitare che il Presidente potesse ventilare strumentalmente la possibilità di sciogliere anticipatamente il Parlamento, al solo fine di favorire una sua rielezione.

Per «eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione», sosteneva Segni, meglio, molto meglio escludere la rielezione, invece di amputare le funzioni del Presidente. 

Probabilmente non aveva tutti i torti, anche se non se ne fece nulla. Di rielezione non si è parlato a lungo, se non forse per qualche velleità del settimo Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, di cui si vociferò molto nei palazzi romani. In una intervista a una rete televisiva americana, infatti, a pochi mesi dalla scadenza del settennato, nel 1984, Pertini non escluse categoricamente l'ipotesi di un secondo mandato, ma disse che una proposta in tal senso lo avrebbe fatto meditare: non posso dire adesso cosa risponderei, aggiunse quasi sibillino, in ogni caso sarebbe una decisione assai difficile.

E si capisce: sette anni sono lunghi, quattordici un'eternità. Anche Segni lo aveva sostenuto: un settennato basta e avanza per dare dignità alla carica e continuità istituzionale all'esercizio delle funzioni. Nel caso di Pertini, poi, l'età avanzata (era sulla soglia dei novant'anni) costituiva un particolare non trascurabile. Ma Pertini, con qualche vanità, ci tenne a farlo sapere alla stampa: non mi sento affatto stanco, disse, e sebbene le cose siano poi andate diversamente, e la scelta sia caduta su un altro uomo politico sardo, Francesco Cossiga, che si potesse rimanere da inquilini del Quirinale fino ai novanta lo ha dimostrato superbamente un altro Presidente, l'undicesimo nella storia della Repubblica, Giorgio Napolitano.

È con Napolitano che una soluzione eccezionale, non esclusa dalla Costituzione ma considerata in genere non opportuna, è diventata l'unica via d'uscita praticabile dallo stallo in cui si erano cacciate le forze politiche, dopo lo stop a Franco Marini e a Romano Prodi, fatti fuori da fuoco amico. Con i voti di una larghissima maggioranza (738 su 1.007), Napolitano fu allora rieletto, tenne un nuovo discorso di insediamento che fu una severa scudisciata ai partiti, e traghettò il Paese fino alla scelta dell'attuale Presidente, Sergio Mattarella, all'inizio del 2015. 

Ora il dubbio si ripropone: nonostante i reiterati dinieghi di Mattarella, non sarà meglio prolungare la sua permanenza sul più alto Colle, per non dover spostare Mario Draghi da Palazzo Chigi, cioè dal luogo in cui oggi serve al Paese, soprattutto in una chiave europea, e per non dovere, in alternativa, mettersi alla faticosa ricerca di un punto di equilibrio. Qualche ipotesi c'è già, ovviamente, e su questo giornale se ne è ragionato (vedi la carta Marta Cartabia), ma l'ipotesi Mattarella-bis resta in campo.

Il nodo dell'equilibrio fra potere presidenziale e controllo parlamentare rimane comunque assai complesso, anche se molti dei timori legati al ruolo del Capo dello Stato appaiono oggi poco giustificati. Ai tempi della Costituente, dopo la caduta del fascismo, aveva senso interrogarsi intorno a possibili torsioni autoritarie; oggi, nonostante l'emergenza sanitaria, è difficile anche solo evocare il tintinnare di sciabole. È invece diffusa la convinzione che la funzione arbitrale del Quirinale, fin qui assicurata con mirabile discrezione da Mattarella, sia tanto più necessaria quanto meno stabile e consolidato è l'assetto politico.

È la famosa immagine della fisarmonica presidenziale, che si contrae o si espande a seconda delle esigenze complessive del quadro politico. Ovvero, per aggiornarla con i concetti della moderna scienza del comportamento, è l'idea di una spinta gentile che il sistema riceve dal suo più alto rappresentante, e che aveva ragione Segni non c'è forse più motivo di rendere impalpabile nel corso dell'ultimo semestre.

Ma, semestre o non semestre, superato lo scoglio della riforma della giustizia, è difficile che la nave del governo Draghi si incagli da qualche parte, nei mesi venturi. A lui toccherà dunque dare forma al piano nazionale di ripresa e resilienza, ai partiti di immaginare un nuovo protagonista per la partita del Colle.

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Il Mattino