Giustizia lumaca, la causa più lunga d’Italia: mezzo secolo per il verdetto a Venezia

Un campeggio ottiene la restituzione dei terreni sequestrati dallo Stato nel 1969

Giustizia lumaca, la causa più lunga d’Italia: mezzo secolo per il verdetto a Venezia
Ci hanno messo mezzo secolo i proprietari dei camping di Cavallino, nel Veneziano, a ottenere giustizia. Si sono battuti per cinquanta anni precisi, portando fino in fondo il loro...

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Ci hanno messo mezzo secolo i proprietari dei camping di Cavallino, nel Veneziano, a ottenere giustizia. Si sono battuti per cinquanta anni precisi, portando fino in fondo il loro ricorso che alla fine ha battuto ogni record diventando la causa più lunga di Italia. Causa intentata nel 1973, e che si è conclusa la settimana scorsa.

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IL CONTENZIOSO
Il campeggio della piccola località turistica in provincia di Venezia aveva contestato una decisione presa nel 1969 dal ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia del Demanio, che avevano portato via una parte dei terreni utilizzati dalla struttura turistica. L’esproprio serviva a costruire una diga. Dopo un percorso passato per due sentenze discordanti in primo e secondo grado, alla fine la Corte di Cassazione ha dato ragione ai camping,. E così dopo esattamente mezzo secolo dall’inizio della causa, i terreni tornano finalmente ai legittimi proprietari e lo Stato dovrà anche versare un risarcimento: 17.700 euro, e poi il rimborso forfettario delle spese generali. Ci è voluto un po’ di tempo, sì, ma i privati alla fine l’hanno avuta vinta.


L’ALLUVIONE DEL 1966
A scatenare la battaglia legale più lunga della storia era stata l’alluvione del novembre 1966, conosciuta anche come “acqua granda”, che aveva travolto Venezia con un’alta marea fino a quasi due metri di altezza. Con ingenti danni ai cittadini, ai commercianti, agli agricoltori e al patrimonio artistico, erano state colpite fortemente anche le attività turistiche. Nel caso dei camping di Cavallino, indirettamente. 
Tra le misure prese per far fronte alla situazione, infatti, il Consorzio di Bonifica Basso Piave aveva anche progettato una diga in cemento armato, destinata alla protezione della costa. Dalla Batteria Radaelli alla foce del Sile, lo sbarramento artificiale tagliava via un pezzo delle proprietà private sul litorale. Nel 1968, poi, la Capitaneria di Porto aveva avviato una procedura del demanio marittimo per annettere gli orti che erano rimasti sull’altro lato della diga. 


IL PRIMO VERDETTO
Cinque anni dopo, quindi, l’inizio della causa che per decenni è sembrata senza fine, arrivata a una prima sentenza soltanto nel 1992. In quel caso, ai proprietari dei campeggi era stato dato torto. Ma nonostante fossero già passati quasi vent’anni, i privati avevano deciso di non arrendersi, impugnando il verdetto e arrivando fino alla sentenza di Appello nel 2017, dopo altri 25 anni. Ottenendo stavolta ragione grazie a una consulenza tecnica di ufficio, secondo la quale non sarebbe stata necessaria la modifica degli orti in spiaggia. 


ATTO FINALE


I cittadini erano quindi arrivati a una prima vittoria. A seguire, però, vi era stato il ricorso presentato dal ministero dell’Economia e delle finanze. La Corte di Cassazione, poi, confermando la sentenza di secondo grado, ha messo finalmente un punto alla causa civile più “anziana” di Italia, cominciata quando nel Paese si discuteva di referendum sul divorzio e nel mondo si festeggiava la fine della guerra del Vietnam. Ora i proprietari dei terreni aspettano che la sentenza venga resa esecutiva, e gli vengano resi i beni che gli erano stato portato via ingiustamente.
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Il Mattino