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Statali, la svolta del merito.
Provate a immaginare di entrare in un ufficio per pubblico per sbrigare una pratica. Dall’altro lato dello sportello vi accoglie un impiegato con un largo sorriso, tanta gentilezza e la totale volontà di aiutarvi a risolvere la vostra richiesta. Oppure, pensate di essere un’impresa che ha bisogno di una risposta in tempi certi da una pubblica amministrazione per non perdere un’opportunità. E immaginate che il funzionario incaricato consideri il vostro problema un suo problema. Ed ancora, provate a pensare a un dipendente del Fisco in grado di padroneggiare algoritmi e banche dati e individuare, con pochi margini di errore, chi nasconde i suoi redditi.
La persona giusta al posto giusto. Questa è, in qualche modo, la nuova Pubblica amministrazione immaginata nelle «Linee di indirizzo per l’individuazione dei nuovi fabbisogni professionali da parte delle amministrazioni pubbliche», appena emanate dal ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta, di concerto con quello dell’Economia Daniele Franco. Nelle 37 pagine del provvedimento appena firmato, viene disegnata una piccola rivoluzione del personale che compone la macchina burocratica italiana.
«La definizione dei nuovi profili professionali – spiega al Messaggero Brunetta - è un punto qualificante della riforma della Pubblica amministrazione.
L’idea di Bruxelles è che la Pa italiana è troppo ingessata nei formalismi burocratici. Va resa più dinamica ed efficiente. E per farlo è necessario agire anche sulle persone che della Pubblica amministrazione fanno parte. Già nei nuovi contratti, accanto alle vecchie aree, è stato stabilito che i dipendenti dovranno essere inquadrati anche in una «famiglia professionale». Un ambito cioè, in cui ci sono dipendenti che hanno competenze simili o una base di conoscenza comune. Parlano, insomma, la stessa lingua. Prendiamo il vecchio «assistente di area II»: diventerà, per esempio, «assistente per la manutenzione degli impianti» o «assistente di segreteria».
IL MECCANISMO
Due profili che oggi vengono selezionati con lo stesso concorso e solo dopo l’assunzione vengono assegnati all’una o all’altra funzione, senza che sia stato misurato chi è più adatto a fare l’uno o l’altro mestiere. Tutto questo cambierà. L’intenzione è di passare dai «profili professionali» ai «profili di competenza». Che significa? Superare in qualche modo il “mansionismo”, l’attribuzione di compiti piatti e standardizzati che diventano altrettanti limiti all’azione dei singoli. «Le competenze», spiegano invece le linee guida, «non si esauriscono nelle conoscenze acquisite o maturate nel tempo, ma consistono anche nel “come” le conoscenze vengono utilizzate nello svolgimento del lavoro e, quindi, nelle capacità, nelle abilità, nelle attitudini, e sono influenzate dai valori e dalle motivazioni che i singoli debbono possedere per interpretare in maniera efficace, flessibile e, dunque, dinamica il proprio ruolo nell’organizzazione».
Insomma, se devo mettere una persona allo sportello con il pubblico, dovrò valutare che abbia anche qualche dote comunicativa oltre che sapere come si compilano i moduli. Sono le ormai note «soft skills», la capacità di interfacciarsi, di lavorare in gruppo, di risolvere problemi. E che saranno oggetto di valutazione al pari delle altre competenze nei prossimi concorsi, come previsto dalle nuove norme introdotte con i decreti legge 80/2021 e 36/2022. Ma saranno valutate anche nei percorsi di formazione e di carriera.
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Il Mattino