Sarebbe semplicistico sostenere che l’Italia stretta nella morsa del caldo e della siccità fa i conti con la furia di un anticiclone estemporaneo. Da Nord a Sud,...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
A indicare il forte stato di crisi in cui è piombato l’equilibrio climatico italiano, sono in particolare le Alpi e gli Appennini, dove da più di trent’anni si registrano piogge particolarmente intense. «Si tratta di eventi che non sono più riconducibili a singoli eventi di stagione, ma a fenomeni antropici», spiega Paola Mercogliano.
Gli scenari presi in esame dai meteorologi fino a oggi, sono essenzialmente due: il primo tiene conto dell’intesa trovata in Francia con la Cop 21 e vede la possibilità di limitare a 1,5-2 gradi l’aumento delle temperature mediante la riduzione dei gas serra (la dottrina Obama, per intenderci). Il secondo, assolutamente da scongiurare, che invece viene elaborato sulla base della totale assenza di provvedimenti contro le emissioni (la dottrina Trump). Previsioni alla mano, il modello negazionista del tycoon sarebbe per il Sud un’autentica iattura. «Rischiamo - avverte la ricercatrice del Cmcc - di andare incontro a estati che rispetto a oggi vedranno in Meridione e nella stessa Campania un calo delle precipitazioni fino all’80 per cento di quelle odierne, che già di per sé sono molto scarse. In termini generali, possiamo affermare che se oggi il Paese si assesta sui 200 millimetri di pioggia ad estate, nello scenario peggiore le precipitazioni si ridurranno a 40 millimetri con evidenti conseguenze in termini idrogeologici».
«Secondo i nostri modelli - osserva la ricercatrice del Cira - la Campania del 2050 potrebbe registrare fino a due gradi di temperatura in più nelle zone interne, e un grado e mezzo in più nelle zone costiere, mentre aumenteranno di 15 o 20 i giorni dell’anno in cui si registreranno massime al di sopra dei 29 gradi. In uno scenario a cento anni, le massime estive potrebbero schizzare da 38 a 44 gradi». Si tratterebbe insomma di un’estate sempre più lunga, sempre più rovente, e capace di tracimare nel mese di ottobre. Clima secco, poca acqua, temperature elevate sono però soltanto la punta dell’iceberg. «La siccità - avverte la ricercatrice del Centro euro-mediterraneo - è solo un lato della medaglia, l’altro è rappresentato dall’aumento dei massimi di precipitazione». In buona sostanza, nello scenario di un Paese totalmente inerte di fronte al cambiamento climatico, pioverà molto meno, ma quando accadrà pioverà con estrema violenza. Piogge torrenziali, rovinose, per le quali il Paese non è minimamente attrezzato. E che metteranno nel mirino una fascia assai sensibile della Campania. «Dai nostri studi realizzati insieme alle Autorità di bacino della Regione Campania - spiega Paola Mercogliano - è emersa un’estrema fragilità dell’area flegrea, dove l’aumento di precipitazioni violente stimate per la fine del secolo si tradurrebbe in un concreto rischio di frane veloci».
Il futuro del Meridione scivola dunque lungo il crinale che separa il baratro dalla sopravvivenza, Washington dall’Europa. Ma per limitare i rischi di un futuro invivibile, occorre invertire la rotta sin da oggi. Le due parole d’ordine sono prevenzione e manutenzione. La Campania però resta molto indietro su entrambi i fronti. «In Meridione - osserva Paola Mercogliano - la cultura della sostenibilità è ancora poco diffusa. Di fronte a scenari di surriscaldamento globale, occorre ripensare i modelli di coltura, perché l’acqua disponibile sarà sempre più esigua. Servono inoltre mappe di rischio idrogeologico, piani di prevenzione contro le frane, nuovi criteri costruttivi. Al Nord, in realtà come Prato e Bologna, ormai si progetta secondo criteri di efficientamento energetico e sostenibilità, mentre la Campania e Napoli in particolare, sono ancora di fronte al cambiamento climatico, del tutto inermi. Sul piano della valutazione ambientale strategica si può e si deve fare molto di più».
Per una volta, l’Europa può darci una mano. «I fondi europei destinati alla costruzione di nuovi edifici secondo le direttive europee volte a limitare gli effetti del cambiamento climatico - spiega Mercogliano - sono stati valorizzati al meglio da città come Copenaghen, ma in Italia sono ancora poco sfruttati». Invertire la rotta è ancora possibile. «L’alternativa - conclude amara la ricercatrice del Cira - è vedere la nostra Penisola travolta mano a mano dalla desertificazione. È ora che la politica prenda in mano il destino dei nostri figli». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino