NEW YORK - Gli Eagles di Philadelphia fanno la storia e vincono il loro primo Super Bowl. Ma, al di là dello sport e dello spettacolo di pubblicità e di performance...
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Non basta, dunque, un tweet istituzionale di congratulazioni firmato dal tycoon a ricucire lo strappo tra Washington e la National Football League. Una relazione tormentata, a tratti un vero e proprio scontro frontale, che già da mesi anima lo scenario socio-politico a stelle e strisce.
Tutto era cominciato verso la fine della scorsa estate, con un numero crescente di giocatori di colore che, al momento dell’esecuzione dell’inno nazionale, anziché restare in piedi al cospetto della bandiera, si poggiavano su un ginocchio per manifestare il loro dissenso nei confronti di qualsiasi forma di discriminazione razziale. E, in particolare, il loro sostegno per il Black Lives Matter, un movimento di attivisti volto a tutelare diritti e dignità della comunità afroamericana.
La “protesta dell’inno”, l’aveva ribattezzata più di qualcuno.
Ma gli atleti non ci stanno e provano, ancora una volta, a spiegarla meglio.
E a prendere la parola a fine partita è uno degli eroi di questa notte, uno dei principali protagonisti di tutta questa vicenda, dentro, ma anche fuori dal campo.
Torrey Smith è un “wide receiver”, un ricevitore, degli Eagles. È stato per mesi nel mirino di Trump e non le manda certo a dire.
«La chiamano la protesta dell’inno. Ma non è così. Noi non stiamo di certo protestando contro l’inno nazionale. È una protesta che va in scena durante l’inno». Fa una pausa, si stropiccia gli occhi, riprende: «Mio padre, quando è morto, è stato sepolto in una bara avvolta in un’enorme bandiera americana. Ha servito nell’esercito», dice con lo sguardo fiero.
Insomma, non mancano di certo né amore né orgoglio patrio negli occhi di questo ventinovenne della Virginia.
(Torrey Smith, “wide receiver” dei Philadelphia Eagles. Già una settimana fa aveva dichiarato che, in caso di vittoria del Super Bowl, non avrebbe accettato l'invito di Trump alla Casa Bianca)
E gli fa eco un altro grande di questa serata, Chris Long, difensore delle “aquile” di Philly che l’anno scorso militava nei New England Patriots, campioni 2017. E che, già in quell’occasione, aveva deciso di declinare l’invito alla Casa Bianca.
«No, non ci vado nemmeno quest’anno», ha risposto ad un giornalista di Espn al termine della finalissima. E ha concluso, quasi a voler rincarare la dose: «Ma scherzi? Non se ne parla nemmeno».
(Chris Long, difensore degli Eagles) Leggi l'articolo completo su
Il Mattino