Trump fa il bullo, ma l’America va. E su Messico, migranti ed economia: «Se l’avesse fatto Obama…»

Trump fa il bullo, ma l’America va. E su Messico, migranti ed economia: «Se l’avesse fatto Obama…»
Il metodo della minaccia, la narrativa del trionfo. E così, avanti fino al 2020. E chissà, avanti addirittura...

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Il metodo della minaccia, la narrativa del trionfo.

E così, avanti fino al 2020. E chissà, avanti addirittura quattro anni oltre.

Donald Trump recita la parte del bullo che non perde mai e, per quanto possa far storcere il naso, quasi sempre vince.

Vince a correnti alternate per gli Stati Uniti che talvolta incassano e che talvolta invece il famoso dazio lo pagano.

Vince sempre, infine e senza il quasi, per se stesso. Perché, a prescindere da quali che siano i risultati concreti, è in grado di spettacolarizzare ogni episodio e ogni questione centrando puntualmente due obiettivi: isterizzare la platea dell’opposizione democratica e viceversa compattare la propria, pronta a votarlo di nuovo e di corsa.

Del resto, Trump nello show business ci ha sguazzato e continua tuttora a sguazzarci. In un reality chiamato The Apprentice, prima; in un “reality” chiamato America, oggi.

L’ultimo capitolo della saga è il Messico e riguarda l’incubo dei conservatori a stelle e strisce: i migranti provenienti da Sud. A secco di passi avanti sul fronte del famigerato Muro, Trump risolve con l’economia, con la minaccia di dazi progressivi dal 5 al 25%. I vicini di casa corrono ai ripari, schierano la guardia nazionale e si allineano in fretta e furia alle richieste di una Casa Bianca che non si esibisce certo nel fioretto della diplomazia, ma che ottiene esattamente ciò che vuole. Un piccolo capolavoro di prepotenza e di pragmatismo che è divenuto per l’appunto un metodo, già applicato ad esempio ad alcune aziende americane tentate dalle delocalizzazioni.



Insomma, il tycoon quasi non ha bisogno di mettere nero su bianco le sue leggi. Gli basta agitare lo spettro del suo caratteraccio, unito ai muscoli di un’America che persino in un mondo multipolare resta comunque superpotenza, per costringere l’interlocutore di turno a tornare sui suoi passi, in buona sostanza ad arretrare fino ad incastrarsi nel proprio angolo.

Antiestetico, forse brutale, specie per quegli Stati Uniti che da tempo immemore vorrebbero fregiarsi del titolo di  paladini della democrazia. Ma tremendamente efficace.

Il tutto condito dai numeri di un’economia che non sa quali e quanti altri record polverizzare. Di quattro punti percentuali di crescita e di disoccupazione inesistente.

Su una cosa Trump ha ragione e basta. E lo twitta a gran voce:

«Se Obama avesse chiuso gli accordi che ho chiuso io, sia per il confine che per l’economia, sarebbero stati accolti come incredibili e sarebbe stata proclamata una sorta di Festa Nazionale. Per me invece nessun merito!».



Vittimismo?
Può darsi.

Ma in parte giustificato da un certo essere di parte che alla fine si scontra con la realtà e che, no, non porta lontano.


L’unico che “rischia” di andare lontano, qui, è questo presidente. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino