Trump: «Non farò un partito ma sono pronto a ricandidarmi»

Trump: «Non farò un partito ma sono pronto a ricandidarmi»
«Il nostro partito», con queste tre paroline, Donald Trump ha messo in chiaro che non solo non intende creare un altro partito, ma vuole continuare a guidare quello...

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«Il nostro partito», con queste tre paroline, Donald Trump ha messo in chiaro che non solo non intende creare un altro partito, ma vuole continuare a guidare quello repubblicano, mentre non esclude di ricandidarsi nel 2024. Dal palco della Cpac, in Florida, ieri sera l'ex presidente ha promesso che il viaggio cominciato «quattro anni fa è lungi dall'essere finito». La Conservative Political Action Conference, che rappresenta la parte più conservatrice del partito, è durata tre giorni, ed è stata interamente popolata da fedeli del trumpismo e dei suoi valori, tanto che uno dei più noti commentatori repubblicani, Bill Kristol, ha lamentato che è stata un appuntamento «di molti complotti e pochi temi concreti». 

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A parte le scontate assenze di leader non trumpiani come il senatore Mitt Romney e la deputata Liz Cheney, almeno altri due senatori Gop, Ben Sasse del Nebraska e Bill Cassidy della Louisiana, hanno aggiunto la loro voce nell'esprimere diffidenza verso il movimento. «Non si può continuare a idolatrare questo individuo» ha protestato Sasse, e Cassidy gli ha fatto eco ricordando che comunque il Cpac rappresenta solo una frazione del partito. Tuttavia ieri Trump sembrava già in campagna elettorale, e non è apparso preoccupato dello scandalo esploso sulla forma del palcoscenico su cui camminava, identico a un simbolo nazista adottato nel 2016 dai suprematisti bianchi americani. 

Accompagnato dagli applausi più calorosi che ha riscosso nella serata, ha fatto capire che potrebbe ripresentarsi nel 2024, e «sconfiggere i democratici una terza volta», terza perché continua a sostenere che lo scorso novembre ha vinto lui, come ha ripetuto spacciando di nuovo come vere una serie di falsità già bocciate in tribunale e perfino dalla Corte Suprema: «Non deve accadere più». Rompendo con un'altra secolare tradizione, che vuole che un presidente uscente si astenga per un lungo periodo dal fare commenti sul suo successore, Trump è partito all'attacco di Joe Biden, sostenendo che il primo mese del nuovo presidente è stato «un susseguirsi di fallimenti» e lo ha attaccato a 360 gradi, inanellando una serie di bugie, ad esempio che Biden sta facendo entrare «decine di migliaia di profughi» e che ha «smesso di proteggere i confini», accusandolo di essere «corrotto» e di voler diffondere un «indottrinamento di estrema sinistra». 

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Probabile che in questa sparata giocasse per Trump anche l'invidia, considerato che Biden registra un tasso di popolarità fra il 57 e il 58%, mentre lui non è mai riuscito a rompere il tetto del 50%. Ma oltre all'invidia, c'è stata anche una bella dose di risentimento verso i repubblicani che considera traditori, destinati ad assumere nei suoi discorsi il ruolo del nemico designato che una volta era prerogativa di Hillary Clinton, mentre sta già mettendo sul tavolo endorsement per sconfiggere alle primarie i deputati del Gop che hanno votato sì al suo processo di impeachment. E' troppo presto per capire se la morsa che Trump ha sul partito continuerà a essere stritolante, ma vari osservatori hanno notato che le sue minacce e i soldi che riesce ancora a raccogliere possono essere un fattore determinante, anche per minare il desiderio di rappacificazione che Biden ha espresso.

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Il Mattino