Ucraina, Ferrara (Farnesina): «Le quattro condizioni per trattare con Putin, dialogo turco più avanti»

Ucraina, Ferrara (Farnesina): «Le quattro condizioni per trattare con Putin, dialogo turco più avanti»
Pasquale Ferrara è il direttore generale per gli affari politici e di sicurezza al ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. ...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Pasquale Ferrara è il direttore generale per gli affari politici e di sicurezza al ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Direttore Ferrara, i negoziati tra Ucraina e Russia sono a un punto morto. Quale potrebbe essere la strada per riattivare un dialogo?
«Mi pare che la situazione sia stata magistralmente descritta dal capo dello Stato nel suo discorso a Strasburgo lo scorso 27 aprile, quando all'illusione della guerra lampo contrappose la pace come opera paziente e costruzione laboriosa, «frutto di una ostinata fiducia verso l'umanità e di senso di responsabilità nei suoi confronti». C'è bisogno di pazienza strategica, e resilienza nel saper gestire e attutire le conseguenze che lo sconvolgimento bellico produce non solo al nostro Paese, ma a livello globale. Su impulso del ministro Di Maio, i nostri interlocutori primari sono i Paesi più impegnati, che operano sul doppio binario: da una parte sanzioni alla Russia, sostegno alla difesa ucraina e isolamento internazionale di Mosca; dall'altra tenere un canale aperto per una soluzione politica, che coinvolga possibilmente Onu, Unione Europea, Osce. Ma attenzione: qui non parliamo di resa dell'Ucraina, ma di una trattativa per un accordo solido, giusto, sostenibile, equo, basato su principi di sovranità ed indipendenza dell'Ucraina e non su conquiste territoriali. Siamo in stretto contatto con i Paesi amici e alleati per operare assieme quando verrà il momento della diplomazia. Ogni guerra prima o poi finisce e anche il dopo-guerra deve trovarci pronti per evitare che il conflitto si prolunghi in altre forme anche dopo la cessazione delle ostilità».

Cosa non ha funzionato negli iniziali contatti diplomatici?
«Non è che la diplomazia non abbia funzionato, è che Putin ha scelto di iniziare e proseguire la guerra. È stato possibile solo concordare alcune brevi e fragili tregue umanitarie per consentire l'evacuazione dei civili in sicurezza e far giungere aiuti umanitari nelle aree di conflitto. Una prospettiva propriamente diplomatica dovrebbe articolarsi in almeno quattro componenti. In primo luogo, il raggiungimento di un vero e proprio cessate il fuoco a carattere duraturo, che però non finisca per congelare la situazione sul terreno a vantaggio dei russi. In secondo luogo, qualora l'Ucraina decidesse di assumere uno status di neutralità internazionale, sarà necessario stabilire in quali forme e con quali implicazioni alcuni Paesi possano farne da garanti, e l'Italia si è detta pienamente disponibile a concorrere a questa soluzione. In terzo luogo, dovrà probabilmente esserci un negoziato sugli aspetti territoriali, in particolare per la Crimea e per il Donbass, ovviamente in connessione con il ritiro graduale e progressivo delle forze di occupazione russa dall'Ucraina. Infine, dopo l'aggressione russa, si renderà necessario rivisitare l'equazione della sicurezza paneuropea, sia per proteggere il fianco orientale dell'Europa sia per tener conto della possibile adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, che rimane un'alleanza difensiva. In questo esercizio dovranno necessariamente essere coinvolte entrambe le parti. A Strasburgo il Capo dello Stato ha chiarito che il modello è Helsinki, non Yalta, nel senso che bisognerà pensare a una sede internazionale sull'esempio della conferenza di Helsinki del 1975 per disegnare un nuovo quadro di cooperazione e sicurezza in Europa».

Israele e Turchia sono ancora dei possibili mediatori?
«Sono diversi i Paesi che si sono profilati per incoraggiare una via d'uscita diplomatica. Israele ha certamente un peso politico rilevante sia per la Russia che per l'Ucraina, e l'incidente delle recenti dichiarazioni russe lo dimostra un volta di più. La Turchia ha avviato una facilitazione che ha consentito l'incontro ad Antalya a livello politico tra i due ministri degli Esteri Lavrov e Kuleba e una sessione più tecnica a Istanbul che ha prodotto alcuni limitati risultati. In questo momento l'iniziativa turca è l'unica che abbia un minimo di struttura, e credo occorra sostenerla. La Turchia ha delimitato abbastanza chiaramente il perimetro della sua posizione nei confronti dell'aggressione russa all'Ucraina, nel senso che non coincide con quella euro-atlantica ma non per questo rinuncia a essere incisiva. Siamo in contatto sia con i negoziatori di Ankara che con quelli ucraini e stiamo dando un concreto contributo di idee, documenti, ipotesi. Abbiamo a esempio un patrimonio storico-politico in tema di diritti linguistici e culturali, e siamo un Paese connettivo, senza agende nascoste e sa come trovare punti d'incontro».

Perché la Cina dopo due mesi resta in un limbo. Per quanto ancora potrà restare in questa zona grigia?
«Non bisogna dimenticare che la Cina gioca una partita globale per affermare un proprio ruolo strategico, non più solo economico. Credo che il documento congiunto firmato dal presidente Putin e dal presidente Xi Jinping in occasione dei giochi olimpici in Cina delinei un evidente allineamento di matrice ideologica. Ciò detto, non credo che la Cina, a parte questa coincidenza tattica, abbia interesse a un quadro di prolungata instabilità in Europa come risultato dell'aggressione russa all'Ucraina, anche per interessi economico-commerciali. Non ci sono però, per ora, segnali di un suo impegno per fermare le ostilità. Per il resto, l'Unione Europea considera la Cina un partner negoziale, un concorrente economico e un rivale strategico. Una posizione articolata e al contempo precisa».

L'Italia è da sempre il Paese con il maggior numero di ucraini, e con i profughi la comunità si è ampliata. Quale sarà il nostro ruolo per il futuro dell'Ucraina?


«Anzitutto noi sosteniamo con convinzione la prospettiva europea dell'Ucraina, ed è questo già un impegno a garantirgli un futuro di pace e sviluppo. Inoltre, le istituzioni hanno appoggiato concretamente le molte manifestazioni di solidarietà e accoglienza provenienti da organizzazioni della società civile, privati cittadini, organismi religiosi. Penso però che dovremo adoperarci a livello europeo e mondiale affinché i milioni di profughi e gli sfollati interni causati dalla guerra insensata di Putin possano un giorno far ritorno nella loro patria. Va in questa direzione l'azione internazionale per la ricostruzione del Paese, che vede l'Italia fortemente impegnata, con l'idea di poterci concentrare in alcune aree e in alcuni settori chiave, come quello delle istituzioni culturali. Siamo al fianco dell'Ucraina in questa ora buia della sua storia, ma vogliamo essere anche attivamente partecipi della sua speranza nell'avvenire».
  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino