Ucraina, intervista all'ambasciatore d'Israele in Italia: «Noi impegnati a salvare gli ebrei ucraini in pericolo»

Ucraina, intervista all'ambasciatore d'Israele in Italia: «Noi impegnati a salvare gli ebrei ucraini in pericolo»
«Per i terroristi la nostra unica colpa è semplicemente quella di esistere. I nemici d'Israele, con i loro attacchi contro i civili inermi, credono di avere la...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

«Per i terroristi la nostra unica colpa è semplicemente quella di esistere. I nemici d'Israele, con i loro attacchi contro i civili inermi, credono di avere la meglio e di riuscire a perseguire il loro disegno più nero: farci scomparire dalla cartina geografica. Vigliacchi. Ma noi reagiremo, colpo su colpo contro il terrorismo. La nostra risposta non potrà che essere quella della forza. Li colpiremo e li sconfiggeremo». Dror Eydar, ambasciatore dello Stato d'Israele in Italia, parla con Il Mattino e commenta a caldo l'ultimo bagno di sangue scatenato dalla ferocia terroristica che ha causato cinque morti alle porte di Tel Aviv. Bilancio tragico: 11 vittime in tre attentati, solo nell'ultima settimana.

Chi c'è dietro questa nuova ondata di violenza?
«Potrei dire Isis, Hamas, il Fronte di liberazione della Palestina, ma al di là delle facciate sono tutti la stessa cosa. Vigliacchi che uccidono civili inermi. Ci avviciniamo alle festività del Ramadan, della Pasqua ebraica e di quella cristiana, ed eccoli che tornano a colpire. E lo fanno, ancor di più, puntualmente quando Israele fa dei passi di pace importanti tesi a normalizzare i rapporti con alcuni Paesi arabi, in virtù degli Accordi di Abramo».

Si va verso una nuova escalation di violenza?
«Abbiamo innalzato al massimo i nostri livelli di sicurezza, e a questi vili ricordiamo che noi siamo un popolo eterno, sempre pronto a difendere il nostro ritorno a casa dopo un lungo esilio. Siamo tornati nella nostra terra non per scappare, ma per combattere, proprio come fece Giacobbe contro Esaù. E l'Europa tenga bene a mente il suo recente passato, perché l'indottrinamento di certi leader fanatici religiosi ha finito per armare la mano anche nel Vecchio Continente: e ricordi sempre che dietro la folle ideologia dei terroristi c'è un rischio non solo per noi israeliani, ma anche per l'Occidente intero. Perché noi restiamo l'avanguardia dell'Europa».

Intanto a 3000 chilometri da Roma si combatte un'altra guerra. Quali sono le vostre aspettative? C'è ancora spazio per una mediazione di Israele tra Russia e Ucraina?
«Per arrivare alla pace non ci sono mai tentativi inutili. Israele ha fatto e sta continuando a fare la sua parte, anche oggi mentre il tavolo degli accordi si svolge ad Istanbul. Noi abbiamo la Russia alle porte, ai nostri confini con la Siria. E il nostro primo obiettivo resta quello di mettere in sicurezza gli ebrei ucraini, e forse anche molti di quelli che vivono in Russia. Anche il Papa - che pure si è schierato fermamente contro questa guerra - potrebbe avere un ruolo fondamentale, e i suoi sforzi tesi a fermare il conflitto sarebbero un grande gesto di pace: immaginate, con la sua autorevolezza riuscirebbe a fermare le ostilità. Ne sono sicuro».

Da un lato lo spettro della Terza Guerra Mondiale. Dall'altro il riemergere del terrorismo islamico. Ancora una volta la figura di Israele assume un ruolo centrale.
«Vuole sapere chi siamo noi? Siamo quelli che, mentre c'è chi sparge ancora sangue innocente a casa nostra, realizziamo concretamente l'idea biblica della condivisione del bene. Il bene che fa progredire, che è vita, che non è tragedia, ma speranza. Con fatti concreti: per questo a Napoli il prossimo 17 e 18 maggio metteremo a disposizione del vostro Paese, dell'Italia, e di altre nazioni la nostra tecnologia volta alla soluzione di sfide globali. Napoli ospiterà una conferenza sull'agritech».

Di che si tratta?
«Il numero di nuove start-up legate alla tecnologia climatica è aumentato vertiginosamente in Israele nel 2014, raggiungendo il 9 per cento del suo totale nel 2020. Nell'ambito della creazione di soluzioni alle sfide globali, il maggior numero di aziende punta a sistemi energetici puliti, mobilità e trasporti sostenibili. Parliamo di ricerche avanzate sulle proteine alternative, la bioedilizia, le tecniche contro ogni spreco di cibo. Ma anche dei sistemi di irrigazione senza sprechi, e della desalinizzazione dell'acqua, per non dire dell'utilizzo dei satelliti per la mappatura del suolo, dei sistemi di irrigazione e fertilizzazione e per ciò che noi definiamo agricoltura di precisione».

Chi saranno i protagonisti di questo Forum?
«Porteremo a Napoli 40 aziende israeliane di avanguardia in materia di energia pulita, risorse idriche, rispetto dell'ambiente. Tre temi caldissimi per il pianeta. E condivideremo con Confagricoltura e con l'Università Federico II informazioni e una cooperazione capace di rafforzare l'economia globale. Ringrazio per questa opportunità il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che ha fermamente creduto nel nostro progetto, dal quale scaturiranno nuovi posti di lavoro, crescita e prosperità, oltre ad una nuova tutela della natura, del clima e della diversità ecologica».

Lei ultimamente ha visitato molte regioni italiane. Che idea si è fatto del nostro Paese?


«L'Italia ha molte affinità con Israele. Anche nelle problematiche legate al futuro sempre più legato ad uno sviluppo sostenibile. Sono appena rientrato dalla Sicilia, dove ho appreso della desertificazione che è una piaga che sembra affliggere molte altre regioni, anche del Nord e di Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Problematiche che noi israeliani abbiamo affrontato già molti anni fa, riuscendo ad ottenere significativi e rivoluzionari risultati. In Israele grazie alla ricerca iniziata dai nostri pionieri nei kibbutzim, e poi portata avanti dalle start up, siamo riusciti a far fiorire persino il deserto».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino