Elezioni Usa 2020, Trump promette battaglia legale: il destino dell'America nelle mani di sei persone

Elezioni Usa 2020, Trump promette battaglia legale: il destino dell'America nelle mani di sei persone
«Andremo alla Corte Suprema». Nessuno negli Stati Uniti si sveglia la mattina e va alla Corte Suprema, ma Donald Trump l'ha detto, proprio così. In...

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«Andremo alla Corte Suprema». Nessuno negli Stati Uniti si sveglia la mattina e va alla Corte Suprema, ma Donald Trump l'ha detto, proprio così. In conferenza stampa, alle prime luci dell'alba post voto, mentre proclamava una vittoria che non c'era, che di fatto non c'è ancora e che in virtù delle sue smanie legali potrebbe non esserci per settimane, forse almeno un mese. La ragione del contendere, in quel momento, erano i voti che continuavano ad arrivare via posta negli Stati in cui Trump era in vantaggio. Un'affluenza, e dunque un conteggio, che il tycoon avrebbe voluto fermare. In particolare in Georgia, North Carolina, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Una sorta di «stop alla democrazia», naturalmente privo di qualsiasi fondamento legale e legato esclusivamente alla fretta di chiudere la partita per non perderla. Le regole sono chiare, i meccanismi di voto in presenza e a distanza sono antichi e disciplinati dalla Costituzione. L'unico aspetto che può essere oggetto di una prima verifica è il riconteggio delle schede. Questo soltanto qualora il margine di vittoria/sconfitta tra i due candidati sia inferiore all'1%. Una fattispecie che, ad esempio, si è verificata in Wisconsin (Biden 49,4%; Trump 48,8%) e non in Michigan (B 50,4%; T 48,0%). Ed ecco allora che proprio in Wisconsin comincia formalmente l'assalto degli avvocati di The Donald. Una manovra più vasta, capitanata dal fedelissimo falco dell'ancora attuale presidente: Rudy Giuliani. L'ex sindaco di New York, infatti, suona la carica dei suoi come più non potrebbe: «Vinceremo queste elezioni», dichiara spavaldo. Una discesa in campo importante, legata a una presenza mediatica e fisica che tuttavia ha i soli connotati dell'operazione politico-propagandistica. Perché in generale, prima di poter ricorrere in qualsiasi modo, bisogna attendere la conta fino all'ultimo voto. Soltanto allora, sempre in caso di scarti minimi, si potrà procedere con il riconteggio e con la segnalazione di eventuali irregolarità. E in questo senso i repubblicani già tracciano la loro strategia: «Durante le operazioni di spoglio, è stato impedito un significativo accesso ai nostri osservatori». Parola del team Trump, tutto da dimostrare, ovviamente. A pronunciarsi su questioni di questo tipo devono essere le autorità locali del singolo Stato, della singola città, persino del singolo seggio nelle persone dei responsabili. E, in caso di mancata concordanza tra le parti in causa, la contesa può essere elevata fino ad essere portata all'attenzione ultima della Corte Suprema. Ipotesi assai probabile perché a fare da contraltare alle tesi di Giuliani ci pensa già il governatore della Pennsylvania Tom Wolf.

In carica dal 2015 per il Partito Democratico, Wolf ha bollato come «intimidazioni» le uscite firmate Trump e Giuliani e nello specifico ha etichettato come «vergognosi» certi tentativi posti in essere «per sovvertire la democrazia». Facile intuire, insomma, che non ci sarà assolutamente nessuna convergenza. La stessa considerazione vale anche per la North Carolina e per il Nevada, in cui i rispettivi governatori Roy Cooper e Steve Sisolak rispondono a loro volta al Partito Democratico. L'unica eccezione è rappresentata da Brian Kemp, governatore della Georgia, altra realtà elettorale appesa a una manciata di voti, appartenente alle fila repubblicane e di conseguenza eventualmente amiche sul fronte dello scontro legale.

Ma è tra le mura della più alta Corte degli Stati Uniti che si consumerebbe il dramma. Lì la maggioranza è chiarissima ed è appena stata rafforzata dalla nomina di Amy Coney Barrett, fortemente voluta e accelerata da Trump in persona. Sei giudici repubblicani contro tre giudici democratici. Nonostante un'aritmetica esteticamente tanto sfrontata, però, l'esito non è affatto scontato e la ragione è molto semplice: le elezioni del 2016 Trump le ha vinte anche contro il Partito Repubblicano. E pure il risultato che sta maturando adesso è comunque figlio di una lotta intestina. Non è detto che il partito lo segua fino al fondo di una battaglia che considerano più sua che loro, specie se dovessero percepirla come persa in partenza.

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Il Mattino