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Mancano solo due giorni alle presidenziali negli Stati Uniti. L'elezione del presidente americano è un evento atteso in tutto il mondo, compreso quindi il continente asiatico. Ma per chi tra i due candidati, Donald Trump o Joe Biden, sta tifando Pechino? La Repubblica Popolare si prepara come sempre a ogni ipotesi, consapevole del fatto che la rivalità tra i due paesi non potrà risolversi nel breve tempo. Anzi, Washington e Pechino sono coinvolte in un confronto a lungo termine che va ben oltre il commercio, l'unico punto in cui negli anni a venire le due maggiori economie del mondo potrebbero anzi lavorare per trovare un elemento di convergenza. In Cina sanno bene che dovranno confrontarsi con chiunque sarà chiamato a sedere nello Studio Ovale a partire dal prossimo gennaio.
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Le relazioni bilaterali tra Cina e Usa sono a un punto bassissimo e negli ultimi quattro anni di amministrazione Trump non hanno fatto che peggiorare. Con Trump, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro i funzionari cinesi per le violazioni dei diritti umani a Hong Kong e nella regione semiautonoma dello Xinjiang, hanno aumentato la vicinanza a Taiwan, l'isola «ribelle» che Pechino vuole riannettere al proprio territorio, rischiando di esacerbare il confronto nelle caldissime acque del Mar Cinese Meridionale. I negoziati fermi per un accordo che ponga fine alla guerra commerciale, i colpi incrociati diretti ai giornalisti e ai media, la retorica anticinese e le accuse reciproche sulla responsabilità della pandemia, il «virus cinese» di Trump riferito alla Covid, hanno creato un clima duro e infuocato. Eppure, non è così scontato che a Pechino preferiscano una vittoria di Joe Biden.
Il candidato democratico alla presidenza Usa ha definito il presidente cinese Xi Jinping un «criminale» durante un dibattito presidenziale.
Dal punto di vista cinese, invece, la cattiva gestione della pandemia da parte di Donald Trump si è rivelata un assist perfetto nell'ottica dell'esaltazione del «modello cinese» che ha consentito di contenere il virus, anche a fronte delle gravi responsabilità iniziali di Pechino. Un altro mandato di Trump, e su questo punto sono d'accordo molti analisti, farebbe forse la gioia di chi in Cina vorrebbe dimostrare il fallimento del «modello democratico americano». Anche le proteste Black Lives Matter hanno offerto argomenti a favore di questa tesi.
L'elezione di Biden non sarebbe l'opzione preferita dal dittatore nordcoreano, sebbene i vertici tra Kim Jong un e Trump non abbiano portato a nulla di concreto, neanche per gli obiettivi che si era posta Pyongyang. Ad oggi, il programma nucleare della Corea del Nord resta una grande minaccia alla sicurezza di Corea del Sud e Giappone, principali alleati degli Usa nel Pacifico. Il leader filippino Rodrigo Duterte senza Trump alla Casa Bianca perderebbe un compagno impegnato a colpire le istituzioni globali, scrive l'esperto di Asia William Pesek. Il risultato paradossale è che alcuni filippini americani, dopo il sostegno dato da Duterte a Trump, hanno cambiato idea sul leader filippino, nonostante la discussa campagna anti-corruzione le uccisioni extragiudiziali, perché troppo innamorati di The Donald. Per una parte dei dissidenti di Hong Kong, vale il principio «il nemico del mio nemico è mio amico». Così, Trump appare «l'unico che possa sconfiggere il Partito Comunista», racconta Bbc. «Il timore è che l'amministrazione Trump possa annunciare nuove misure straordinarie che potrebbero far irritare ancora di più la Cina solo per ragioni di politica interna», osserva, infine, Wang Xiangwei del South China Morning Post intervistato da Gzero.
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