Ha lavorato per quasi quarant’anni nel settore bancario e da quest’anno è in pensione. La sua esperienza passa attraverso cinque istituti di credito, di cui due...
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Partiamo dai recenti casi di risparmio tradito: cos'è che non va nel sistema?
«Faccio una premessa. Oltre a lavorare da tanti anni nel comparto, ho centinaia di colleghi con cui continuo a confrontarmi ogni giorno. Quello che dico vale per il settore nel suo insieme e non faccio nomi».
Prego.
«Ci sono stati moltissimi casi di prodotti spazzatura in passato. Poi nel 2007 una direttiva europea chiamata Mifid ha introdotto un obbligo per tutti coloro che sottoscrivono prodotti di risparmio: la compilazione di un questionario, in cui il cliente si ritiene edotto su tutti i possibili pericoli in materia di investimenti, dichiarando la sua propensione al rischio. In pratica, si classificano gli investitori in base alle competenze in materia finanziaria. Senza firma, però, non si possono comprare neanche i Bot».
Dov'è allora il problema?
«Il questionario è complesso e spesso le domande non sono ben comprese dal risparmiatore medio. Come fa a rispondere alla domanda ”cos'è un derivato?” Non ci può essere consapevolezza di quello che si firma. Anche se si è preparati, si fa fatica a comprendere i prodotti e alla fine si finisce per fidarsi dei grandi marchi».
Come accaduto a Civitavecchia con il caso del pensionato suicida?
«No, molto peggio. Con i derivati si può perdere anche più del patrimonio iniziale».
Fino a quanto?
«Fino a venti volte tanto e la gente per lo più lo ignora. Dipende tutto dall'onestà di chi sta dietro la scrivania e dai sistemi di incentivazione del personale».
Ovvero?
«Le banche obbligano i propri dipendenti a vendere, dando lauti premi a coloro che raggiungono gli obiettivi prefissati. Conosco colleghi di altre realtà che intascheranno entro Natale premi fino a 50mila euro. La domanda è: fanno l'interesse dei clienti o quelli propri e delle banche per cui lavorano»?
Ha lavorato in realtà non italiane?
«In due delle primissime banche europee. Ma il discorso vale per tutte. Sei obbligato a vendere i prodotti, punto e basta. E se non raggiungi gli obiettivi puoi anche rischiare il trasferimento. Il motto è: vendere, vendere, vendere»!
Dove lavora adesso questo non vale?
«Oggi lavoro in una banca dove conta di più la consulenza, che non stressa né i consulenti come me né i dipendenti con il raggiungimento degli obiettivi. Capisce il rapporto di lungo termine che deve avere con i clienti».
Sta parlando di pratiche commerciali scorrette, come quelle attuate da Veneto Banca, Popolare di Vicenza, che costringevano chi chiedeva un mutuo a sottoscrivere contestualmente azioni dell'istituto?
«Lo fanno anche altre. Suggerire prodotti non è illegale. Tra l'altro, chiunque può sbagliare in questo campo. Altra cosa è forzare il cliente a comprare prodotti non consoni al proprio profilo di rischio o poco comprensibili».
C'è un mercato di dirigenti bancari che cambiano spesso istituto per guadagnare lauti compensi di ingresso.
«Verissimo. Di solito chi gestisce un buon portafoglio di clienti in media cambia banca ogni tre anni, così raggiunge subito gli obiettivi. Ma non credo che alla lunga paghi davvero».
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Il Mattino