Uno Stato nello Stato. Con poteri in politica estera e sui flussi di migranti. Con un patrimonio che si arricchisce di quello che l'Italia ha costruito nel territorio con i...
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La legge proposta dal Veneto all'articolo 1 rende un omaggio formale al «rispetto dell'unità nazionale» ma poi nella sostanza la fa a pezzetti. Il tema più forte è l'istruzione. Sparisce il sistema scolastico nazionale e al suo posto nasce un «sistema educativo concordato a livello nazionale», in cui cioè il Veneto si siede a un tavolo con pari dignità con lo Stato e «concorda» le finalità della scuola. Nell'ambito di tali principi, il Veneto si muove in libertà in tutti i campi, compresa la programmazione della rete scolastica, la definizione del fabbisogno di personale, l'assegnazione dei contributi alle scuole private e l'organizzazione del rapporto di lavoro. Lo Stato trasferisce alla Regione non solo i soldi per il personale che cambia datore di lavoro, compresi gli oneri futuri dovuti agli scatti di carriera, ma anche quello necessario alle eventuali nuove assunzioni, con la regola che la somma complessiva potrà aumentare ma mai scendere rispetto a quella impegnata attualmente dallo Stato.
Il Veneto si vuole assicurare anche un inedito «potere di iniziativa» in materia ambientale, in base al quale nei campi di competenza statale la Regione può regolamentare al posto dello Stato, il quale entro 90 giorni deve accettare il testo della Regione o approvarne uno diverso, altrimenti entra in vigore quello regionale. Però se lo Stato successivamente decide di intervenire, la norma regionale decade, con effetti immaginabili sulla certezza e chiarezza del diritto.
Ricchissimo è il capitolo di beni storicamente presenti in Veneto (come quelli culturali) o costruiti con i soldi di tutti gli italiani (come le infrastrutture) che diventano patrimonio esclusivo regionale. Il caso più clamoroso è quello delle autostrade, realizzate con i soldi di società pubbliche come l'Anas e che in base all'articolo 38 passano a titolo gratuito alla Regione Veneto, che affiderà le concessioni e potrà stabilire pedaggi maggiorati anche rimodulando i piani finanziari delle società concessionarie, le quali peraltro già oggi sono partecipate dalla Regione. Il Veneto vuole inoltre diciotto tratti ferroviari locali nonché la gestione dell'Autorità portuale del Mare Adriatico Settentrionale, compreso il potere di nomina del presidente «sentito il ministero delle Infrastrutture» e la possibilità di istituire Zone economiche speciali e una Zona franca. Sono inoltre «trasferiti al demanio della Regione del Veneto gli aeroporti nazionali insistenti nel territorio veneto», cioè Venezia, Treviso e Verona.
Ma uno Stato, per essere tale, deve tutelare i propri confini e il Veneto ci prova con riferimento al flusso di migranti. La Regione, in base all'articolo 66, acquista il potere di stabilire le quote di ingresso per motivi di lavoro dei cittadini extracomunitari, con una programmazione triennale aggiornata ogni 30 novembre. I numeri vengono comunicati al ministero dell'Interno, cui spetta evidentemente l'onere di prendere le misure necessarie per dare seguito alla volontà del Veneto. Sarà la Regione però a verificare «il rispetto dei flussi stabiliti» sia pure con «modalità da concordarsi con il ministero dell'Interno». Infine la Regione si riserva il potere di «introdurre misure complementari di controllo». I frontalieri veneti? Leggi l'articolo completo su
Il Mattino