Due calorose telefonate per esprimere solidarietà ai due prof che a distanza di pochi giorni sono stati aggrediti a Padova e a Roma. Venerdì pomeriggio, di ritorno...
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IL COLLOQUIO
La prima chiamata, racconta il professore di Aversa, Umberto Gelvi, «mi è arrivata venerdì sera verso le 19, mentre ero in treno di ritorno da una trasmissione tv. Quando il presidente mi ha detto ciao, sono Giuseppe Conte, non riuscivo a credere alle mie orecchie. Un'emozione incredibile». Ancora provato per l'aggressione subita da un padre infuriato che gli è costata un trauma cranico, problemi alla rachide cervicale e segni di tentato soffocamento, («Sono ancora dolorante, la schiena fa molto male», dice) il giovane docente di Disegno tecnico dell'Istituto romano appare visibilmente toccato. Ma che cosa gli ha detto esattamente il presidente del Consiglio? «Abbiamo parlato più di dieci minuti spiega Gelvi - come fossimo due vecchi amici. Il premier mi ha dapprima espresso la solidarietà del governo, e poi mi ha invitato a tenere duro, ad andare avanti con la denuncia e a non farmi scoraggiare da quello che è successo perché il popolo italiano è dalla mia parte e Conte ha tenuto a farmelo sapere. Le sue sono state parole piene di affetto, che mi hanno dato una grande forza. Ho risposto al premier che non sarà questo incidente a togliermi la passione che provo per l'insegnamento».
LA SOLIDARIETA'
In questi giorni, spiega il docente aversano che proprio quest'anno si era trasferito a Roma, stanco di fare il pendolare, i messaggi di solidarietà che sono arrivati anche da «mamme, insegnanti, studenti, sconosciuti», non sono mancati. Ma non sono mancati purtroppo neppure commenti negativi. Alcuni, dice amareggiato il professor Gelvi, «si sono scagliati contro di me accusandomi di essere troppo giovane per insegnare perché ho 23 anni, di essere un raccomandato». «Ma per fortuna dice Umberto - la chiamata del presidente mi ha tirato su il morale». Ma il colloquio da professore a professore con il presidente del Consiglio, ha convinto Gelvi ad andare avanti per la sua strada con maggiore convinzione di prima. «Io non lascio assicura resterò nella mia scuola perché lo devo ai miei ragazzi, che in questi giorni mi hanno chiamato preoccupati che li abbandonassi. La cultura scolastica dev' essere ripensata, nelle periferie c'è un forte disagio e io resto in campo per dare una mano». «E questo conclude il giovane insegnante l'ho promesso anche a Conte».
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Il Mattino