Roma. L'esortazione al legislatore affinchè renda «omogenee» le leggi elettorali sarà la conclusione con la quale la Corte Costituzionale...
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Nell'attesa del big-bang di questa sera si dirada la polvere. È infatti fuori discussione che la pronuncia della Corte sarà immediatamente applicativa e questo incoraggia M5S, Lega e FdI che da giorni chiedono «subito le urne» senza che si tocchi nulla di quello che Grillo chiama «il legalicum». Se i giudici interverranno chirurgicamente cancellando il ballottaggio e restringendo le candidature multiple impedendo l'opzione libera, l'impianto proporzionale della legge verrà in parte mitigato dal premio di maggioranza che scatterebbe al 40%. Senza ballottaggio si cancella l'asimmetria con il sistema del Senato che però spinge alle coalizioni prevedendo uno sbarramento dell'8% per chi non si coalizza. Se così andrà stasera, le differenze tra i due sistemi si ridurrebbero nettamente anche se non si realizzerebbe quella «omogeneità» sollecitata dal Capo dello Stato e che verrà ribadita dalla Consulta.
La spinta ad intervenire in Parlamento resta forte, ma molto differenti sono gli obiettivi dei due unici partiti che si dicono pronti a sedersi al tavolo di una trattativa. Il Pd è per il Mattarellum e respinge l'idea del ritorno al proporzionale puro che vorrebbe Forza Italia e che sancirebbe la nascita di una grande coalizione anche prima del voto. Il Cavaliere è stretto tra la Lega e la destra di FdI. Salvini non vuole sentir parlare di intese e punta a correre da solo contando su un possibile accordo post elettorale con il M5S. La logica coalizionista, stile Ulivo e che spinge per un sistema proporzionale con sbarramenti bassi e minimo premio di maggioranza, ha ripreso quota anche a sinistra e nella minoranza del Pd, ma viene giocata tutta contro Renzi. Ovvero «via libera al proporzionale così rifacciamo il centrosinistra che però non può essere guidato dall'ex premier ma dal nuovo-Prodi». Prendere tempo, lavorando magari a una nuova legge elettorale sino al 2018, serve a D'Alema e a tutti coloro che puntano a logorare l'ex sindaco di Firenze, ma sconta la difficoltà a spingere di nuovo il Pd nelle braccia del Cavaliere.
Se così stanno le cose, la strategia di Renzi non può che essere opposta. Di elezioni e data del voto l'ex premier non parla più, ma non ha cambiato idea: questo Parlamento è ancora in piedi solo per fare la legge elettorale e se la trattativa non decolla entro due mesi è meglio votare a metà giugno piuttosto che tirare a campare. Su come dettare il timing e arrivare magari allo scioglimento delle camere a fine marzo, è buio pesto. Sfiduciare un governo del Pd non porta bene, ma è al tempo stesso complicato e molto pericoloso «scavallare» giugno per ritrovarsi ad ottobre a dover mettere mano ad una nuova legge di Bilancio.
Renzi in settimana riunirà la nuova segreteria e nel weekend sarà a Rimini per un incontro con gli amministratori locali del Pd al quale potrebbe partecipare anche Paolo Gentiloni. L'ex premier e segretario del Pd, resta fermo sulla proposta del Mattarellum ma non la considera un prendere o lasciare. Nel partito deve fare i conti con alcuni capicorrente di maggioranza, Dario Franceschini e Andrea Orlando, che non hanno la stessa voglia di urne dell'ex premier.
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Il Mattino