Alessandro Bianchi, 33 anni, il fratello maggiore di Gabriele e Marco i pugili accusati dell’omicidio del giovane Willy Monteiro Duarte a Colleferro, si affaccia da dietro...
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«Non fatevi ingannare - puntualizza subito Alessandro - dentro, la costruzione è ancora grezza e i lavori li stiamo facendo di anno in anno con mio padre che è del mestiere». Poi il viso si fa cupo, gli occhi lucidi, perché i suoi fratelli sono in carcere e un altro giovane non c’è più. Alessandro in tanti, troppi, dicono che questa morte si poteva evitare. Che Gabriele, Marco e i loro amici andavano in giro a picchiare la gente che erano una banda di più persone e che prima o poi sarebbe successo.
«Non dico che i miei fratelli siano santi, hanno fatto stupidaggini, scazzottate. Hanno una loro comitiva ma non sono i “capi bulli” di nessuno. Non potrei mai pensare che abbiano ucciso e infierito su un ragazzetto come Willy, che lo abbiano addirittura colpito quando lui era a terra, tutti contro uno. Io so che non può essere così e sono convinto e confido che venga dimostrato, che il colpo mortale, forse un calcio alla bocca, non l’hanno sferrato loro. Però una cosa voglio che sia chiara: se Gabriele e Marco hanno sbagliato, devono pagare fino in fondo».
Quella notte, i carabinieri sono venuti nel suo bistrot, ad Artena, a cercare i suoi fratelli e i loro amici, lei era presente?
«È arrivato un maresciallo dei carabinieri. La Q7 su cui erano stati visti i miei fratelli è intestata a mia moglie, forse è per questo che sono risaliti a me. Quasi contemporaneamente, i ragazzi stavano parcheggiando l’auto sulla strada. Li ha invitati a entrare e si è preso un caffè con loro e dopo hanno iniziato a parlare, ormai si stava facendo mattina. Sentivo qualcuno che diceva agli altri “di’ la verità”. Io avevo capito che c’era stata una scazzottata, poi il maresciallo ha chiesto a mio fratello e ai ragazzi di risalire in auto e di andare con lui in caserma a Colleferro per accertamenti. Solo dopo abbiamo ricevuto una telefonata dai carabinieri e abbiamo capito che c’era stato un morto».
Ma perché i suoi fratelli sono andati a Colleferro. Conoscevano Willy?
«No, immagino proprio di no. Gabriele e Marco avevano cenato nel mio locale con le loro compagne. Poi hanno ricevuto una telefonata dai loro amici, non ho capito se quando erano ancora al locale o dopo che erano già partiti per Colleferro. Credo che Pincarelli e Belleggia abbiano invocato il loro aiuto perché qualcuno li stava picchiando. E i miei fratelli sono corsi».
I suoi fratelli, però, sono boxeur esperti, praticano la Mma, una disciplina dura in cui si combatte con calci e pugni. Se picchiano sono pericolosi...
«Facevano palestra, si pavoneggiavano, ma era tutta apparenza, pure quelle frasi postate sui social che voi giornalisti avete riportato: solo frasi di trapper. Loro a uno come Willy probabilmente l’avrebbero difeso».
Ma Willy questo non può più saperlo...
«È vero. Noi tutti in casa siamo avviliti, addolorati per quel che è successo. Non pensiamo ad altro che a quel ragazzo e alla sua famiglia. Ho un altro fratello che non si dà pace, mia madre è dentro che si dispera e si sente male, c’è un dottore proprio ora con lei. Willy poteva essere un altro fratello più piccolo o il cuoco del mio locale. Se servisse a qualcosa per tornare indietro o solo per lenire la sofferenza di qualcuno io andrei adesso stesso a farmi linciare davanti la loro casa. Darei la mia vita per quella di Willy».
I genitori di Willy hanno detto che non cercano vendette, il papà e la mamma vogliono solo giustizia.
«E giustizia deve essere fatta per questo ragazzo. La verità dovrà essere stabilita. Nel frattempo quelli che accusano i miei fratelli di odio e violenza stanno dando il peggio di sé: hanno riempito di insulti e minacce me e mia moglie, sui social, ovunque, persino mia figlia che è una bambina. Voglio dire a questa gente di non prendersela con lei o con la mia famiglia, non fate loro del male».
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Il Mattino