Patrick Zaki fuori dal carcere: «Voglio tornare in Italia»

Sono le tre locali, le due in Italia, quando Patrick Zaki varca il portone dalla stazione di polizia di Mansoura, città a nord del Cairo. È vestito di bianco, con la...

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Sono le tre locali, le due in Italia, quando Patrick Zaki varca il portone dalla stazione di polizia di Mansoura, città a nord del Cairo. È vestito di bianco, con la divisa indossata da tutti i detenuti. Dopo 22 mesi si lascia il carcere alle spalle. Si spera per sempre. Ma il processo, con l'accusa di aver diffuso false notizie sulle vessazioni subite dai cristiani copti, andrà avanti. Di fronte, adesso, ha la sua famiglia. La madre Hala si getta sul suo ragazzo. Dietro la fidanzata, la sorella Marise e la sua migliore amica Josra. Zaki chiude gli occhi, si gode l'affetto della madre. Le dà delle piccole pacche sulle spalle. Ha i capelli raccolti in una coda. Gli occhialoni, la barba abbastanza curata nonostante i mesi di detenzione. Al braccio tiene una sacca, dentro tutti i vestiti usati durante la lunga prigionia. Poi si infila in macchina. Attorno non si vede nessun giornalista locale. «Voglio tornare in Italia», racconta poco dopo.

A casa, nella sua casa, seduto su una poltrona, senza gli abiti del carcerato, con un golfino nero e dei jeans, rilascia alcune dichiarazioni, concede interviste. Sotto lo sguardo di un Cristo raffigurato in un quadro di spugna, Patrick pare perfettamente cosciente del crinale sottilissimo su cui si muove: libero, ma con un processo per diffusione di informazioni false che lo minaccia. E allora si schernisce con i cronisti che hanno avuto accesso all'appartamento in cui vive con la famiglia e preferisce parlare d'altro: della bisnonna di origine napoletana e dei libri che ha potuto leggere in carcere. I suoi preferiti sono Dostojevskij e Saramago e un po' tutta la letteratura napoletana, con Elena Ferrante in testa. Ma delle condizioni carcerarie, di quanti erano in cella con lui, e se davvero ha sempre dormito per terra per quasi due anni nonostante il mal di schiena, preferisce non parlare. Di certo stanotte dormirà in un letto, finalmente quello di casa. Ciò che riferisce della sua carcerazione è solo quella relativo alla sua liberazione: «Al momento mi sento ancora un po' confuso, tutto sta andando molto velocemente. Quando ero in cella, non mi avevano annunciato che sarei stato liberato. All'improvviso mi hanno portato al commissariato, e hanno iniziato a prendermi le impronte. Non capivo cosa stesse succedendo, non c'erano segnali che mi stessero per scarcerare. Ma ora sono felice, sono qui con la famiglia, con tutte le persone che amo. Tutto qui». 

«Un abbraccio che vale più di tante parole. Bentornato Patrick!», ha scritto su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, con l'Ambasciata d'Italia al Cairo che ha seguito passo passo questa complicata vicenda giudiziaria e anche diplomatica. «Aspettavamo di vedere quell'abbraccio da 22 mesi e quell'abbraccio arriva dall'Italia, da tutte le persone, tutti i gruppi e gli enti locali, l'università, i parlamentari che hanno fatto sì che quell'abbraccio arrivasse», ha commentato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che tanto si è battuta per la libertà di Zaki. «Accogliamo con favore la decisione del tribunale egiziano di rilasciare lo studente Patrick George Zaki», ha spiegato Peter Stano portavoce dell'Alto rappresentante Ue Josep Borrell, precisando che «questa decisione segna un importante passo in avanti per il suo caso». Stano ricorda che «dalla detenzione di Zaki nel febbraio 2020, l'Ue ha seguito da vicino gli sviluppi, ha osservato le udienze e ha sollevato il suo caso a livello bilaterale e in consessi multilaterali» e che «continuerà a seguire da vicino il suo caso». 

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Il Mattino