La piccola Napoli delle fiction

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Abbiamo parlato a lungo della Napoli nera di Gomorra. Siamo poi passati a quella carta da zucchero dell'Amica Geniale con tanto di tour specializzati. Non ci siamo fatti mancare la conurbazione di Un posto al sole: un tempo, chi viveva palazzo Palladini guardava la città da lontano, come una cartolina; oggi, nella sigla, ogni personaggio è cinto da un luogo col suo carattere, ce l'ha persino la metropolitana e il pontile di Bagnoli. Non immaginavo, dunque, che un'ulteriore declinazione geo-narrativa m'avrebbe appassionato tanto quanto sta facendo la Napoli di Mina Settembre. Di film e serie ambientate a New York si dice che la vera sospensione dell'incredulità riguardi gli appartamenti ampi e vivibili; «Ma questa mo' stava a Chiaia e adesso sta alla Sanità?!», esclama invece lo spettatore cittadino ogni domenica sera, inebriato da un miraggio urbanistico: che l'indomani possa esser davvero così semplice spostarsi.

La città doppia, i rioni come mondi, e poi la vera fantasticheria è un racconto in cui Napoli è una, ha mezzi pubblici funzionanti, taxi sempre disponibili e zero traffico. Spostarsi da casa a lavoro e poi di nuovo? Un piacere. Andare e tornare da Procida o da Scampia? Facilissimo. C'è un problema di ordine sociale? Mina, cuore popolare, la sua amica Irene, più borghese, e Titti, alternativa un po' naïve, collaboreranno. Ah, la minizzazione di Napoli: potessimo viverci almeno un giorno. 

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Il Mattino