Ruffiani, santi e viceré a spasso tra i fantasmi della Napoli spagnola

Da via Toledo a via Medina, dai Quartieri Spagnoli al Cerriglio: sono tante le pietre di Napoli che ci parlano della Spagna

Ruffiani, santi e viceré a spasso tra i fantasmi della Napoli spagnola
«Dio creò i Quartieri per sentirsi lodato e offeso il maggior numero di volte nel minore spazio possibile» ...

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«Dio creò i Quartieri per sentirsi lodato e offeso il maggior numero di volte nel minore spazio possibile»

(Giuseppe Marotta, L'oro di Napoli).
(In realtà a creare i Quartieri non fu Dio, ma un viceré spagnolo che si credeva un Padreterno, don Pedro de Toledo)

* * *

Da via Toledo a via Medina, dai Quartieri Spagnoli al Cerriglio, da Palazzo Donn'Anna alla chiesa di San Giacomo, inglobata, come un Lego di altri tempi, nella fabbrica del Municipio: sono tante le pietre di Napoli che ci parlano della Spagna, e del nostro legame ininterrotto con il paese iberico, i suoi sovrani, la sua gente, la sua cultura. Queste pietre, che spesso guardiamo senza vedere, o calpestiamo distratti, sono ciò che resta di un legame durato oltre tre secoli: da Alfonso d'Aragona, che fece il suo ingresso trionfale a Napoli il 26 febbraio 1443, a Carlo di Borbone, che ancora oggi, dai napoletani, viene comunemente ricordato col suo numero d'ordine nella successione dei sovrani di Spagna, cioè Carlo III; da re Ferrante, l'amatissimo figlio di Alfonso che oggi riposa nel Passetto dei Morti di San Domenico Maggiore, ai monumentali, feroci, a volte mitici e a volte bizzarri viceré spagnoli.

Se Napoli è una città di accumuli, di sedimentazioni e depositi, la Napoli spagnola resta depositata nella nostra memoria collettiva. L'Uovo di Virgilio propone questa settimana un itinerario nei luoghi della città dove l'impronta spagnola è più presente: strade, palazzi, chiese e monumenti per un percorso della memoria dove a fare da guida sono, appunto, le pietre. Anche se, come scrisse anni fa il grande storico Giuseppe Galasso introducendo il libro di José Vicente Quirante «Napoli spagnola», del periodo aragonese e spagnolo Napoli «porta altre tracce... nei nomi e cognomi personali e familiari e nelle tradizioni di famiglie di ogni rango sociale, in varie istituzioni cittadine, a cominciare da quelle forensi; in abitudini sociali non affidate solo ai rituali e cerimoniali dell'alta società, ma alla vita e ai costumi del popolo e della sua vita sociale e religiosa; in varie espressioni del più autentico dialetto, e così via dicendo».

Le strade, innanzitutto. A cominciare da quella via Toledo che fu l'asse portante della riforma urbanistica intrapresa a partire dal 1536 dal viceré don Pedro de Toledo, da cui la strada prende il nome. La nuova arteria si collocava perfettamente in linea con quanto stava accadendo nelle principali città italiane in quello stesso periodo: a Palermo si apriva la via Maqueda; a Genova, distante dal centro antico, si costruiva la via Nuova. Via Toledo, commissionata agli architetti regi Giovanni Benincasa e Ferdinando Manlio, fu completata nel 1559 e nello stesso anno fu pure tracciato, in conformità al piano di don Pedro, l'asse di via Medina-via Monteoliveto, destinato ad assicurare il collegamento della zona portuale e commerciale con via Toledo e con il nuovo quartiere. Quando Paolo Emilio Imbriani, che fu sindaco della città dal 1870 al 1872, decise di mutare il nome di via Toledo in quello di via Roma, neocapitale del Regno d'Italia, subì la reprimenda di numerosi intellettuali, urbanisti e studiosi. Per fortuna la scellerata decisione di Imbriani venne corretta, molti anni più tardi, dall'amministrazione Valenzi, che pose rimedio al torto ripristinando l'antico toponimo. Sia fatta la volontà di don Pedro!

Durante il periodo spagnolo, la crescita della città fu strepitosa. Basti pensare che quando arrivarono gli Angioini, a Napoli si contavano 30mila abitanti. Questi diventarono 50-60mila all'arrivo degli Aragonesi ed erano già più di 200mila dopo la metà del 500. Nel giro di pochi decenni raddoppiarono. Napoli possedeva la struttura di una grande capitale: era sede di una (già) storica Università, quella federiciana, e poteva vantare un grande porto. «Nella strategia della Spagna Napoli era il punto risolutivo: chi possedeva la capitale possedeva tutto il Regno» (Giuseppe Galasso, Il Regno di Napoli, intervista a cura di Francesco Durante). Da qui la necessità di rafforzare le strutture militari. Comincia così l'epopea dei Quartieri Spagnoli, nella cui rete ortogonale hanno convissuto a lungo i napoletani e le truppe spagnole di stanza in città durante il periodo dei viceré. Fu ancora una volta don Pedro a volere i Quartieri. Quello stesso don Pedro che radunò a Castel Capuano gli sparpagliati Tribunali della città, dove ancora oggi sorge il tozzo obelisco davanti al quale i debitori dovevano calarsi le brache mettendo a nudo il lato B. I Quartieri, con la loro maglia a scacchiera, con la loro prodigiosa geometria, furono costruiti proprio con l'obiettivo di concentrare in un'unica area gli alloggiamenti per le truppe spagnole e le loro famiglie. Nel corso del tempo gli edifici originari, su un unico livello, si eleveranno fino a raggiungere anche cinque piani, per far fronte alla carenza cronica di abitazioni per una popolazione in continua crescita.

Via Nardones prende il nome da don Lope de Mardones, magistrato e persona di fiducia di don Pedro de Toledo, che nel 1562 costruì in quella strada il suo palazzo. A ricordo delle truppe alloggiate ai Quartieri ecco via Sergente Maggiore, mentre via Trinità degli Spagnoli porta all'omonima chiesa costruita tra il 1573 e il 1588, che ancora oggi appartiene all'ordine dei Trinitari. Questi religiosi - annota Quirante nella sua «Napoli spagnola» - riscattarono, tra gli altri, Miguel de Cervantes prigioniero dei pirati ad Algeri. Anche Largo Baracche è chiamato così per le costruzioni militari, mentre via Maddalenella degli Spagnoli risale all'epoca del viceregno, quando vi sorgeva un istituto dedicato a Maria Maddalena e destinato alle donne spagnole che «ripudiavano le passate lascivie» dedicandosi alla penitenza.

Al tempo dei viceré piazza del Plebiscito era il Largo di Palazzo e vi si celebravano le feste, anche le corride come nella tradizione spagnola. La più famosa si tenne in occasione della nascita del figlio del viceré Conte di Peñaranda, nel 1661. Domenico Fontana cominciò a costruire il Palazzo Reale nel 1600, quando era viceré il conte di Lemos. La Reggia avrebbe dovuto ospitare il Re di Spagna, Filippo III, ma la visita non ebbe mai luogo.

Negli infiniti labirinti della storia, dell'arte e della letteratura molti sentieri conducono al periodo del vicereame spagnolo. Numerosi i cenacoli artistici e culturali che i viceré a volte tolleravano e a volte no, come nel caso del famoso circolo alla Riviera di Chiaia di Juan de Valdes, il teologo ed umanista spagnolo che fu a contatto con i principali esponenti della cultura di quel periodo.

Prima che il piccone del Risanamento sventrasse il cuore antico della città, e della nostra memoria, la Napoli degli spagnoli si dava appuntamento, di sera, nel dedalo tortuoso e maleodorante dei vicoli che conducevano al porto, dove sorgeva la Taverna del Cerriglio, rifugio di balordi ma anche di clienti pieni di soldi, di vizi e stravizi che dopo aver gozzovigliato si trasferivano ai piani superiori, dove erano attesi non da artisti a caccia di ispirazione ma da ruffiani e prostitute a caccia di clienti, provenienti dalla vicina Rua Catalana. I frequentatori della taverna erano chiamati churulleros, termine poi entrato nella lingua spagnola con il significato di imbroglione o chiacchierone. Se volevi conoscere Napoli, ai tempi di Caravaggio, di Masaniello e dei viceré, dovevi andare al Cerriglio. Qui, nel vicolo dove sorgeva la locanda, la notte del 24 ottobre 1609, fu aggredito e sfregiato al volto. Da chi? Forse dai sicari inviati dai parenti di Ranuccio Tomassoni, l'uomo da lui ucciso a Roma dopo un diverbio per banali motivi. O più probabilmente dagli sgherri mandati dal cavaliere di Malta, che il focoso Caravaggio aveva offeso l'anno precedente.

(1/ continua)

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Il Mattino