Ombre a San Domenico, quei novizi ribelli che fecero grande Napoli

Ombre a San Domenico, quei novizi ribelli che fecero grande Napoli
«Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua...

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«Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo l'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo» (Giordano Bruno).


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A 15 anni si possono già fare grandi scelte. Deviare il corso della propria esistenza. Guardare in faccia il proprio destino. A 15 anni Filippo Bruno rinunciò al suo nome di battesimo e prese il nome di fra' Giordano - in onore di Giordano Crispo, suo maestro di metafisica - cominciando il suo inquieto noviziato a San Domenico Maggiore. Era il 1563. In quel periodo Napoli, nonostante il pugno di ferro dei viceré spagnoli, era una città ricca di fermenti culturali. Prosperavano le Accademie - da quella dei Segreti a quella degli Investiganti - che si distinguevano, essenzialmente, per due tipi di ricerche: quelle incentrate sullo studio dei fenomeni naturali e della filosofia, e quelle a carattere prevalentemente esoterico. In questo clima culturalmente vivace il ragazzo proveniente da Nola (dov'era nato nel 1548) deviò il corso della propria esistenza. A San Domenico restò undici anni, diventando professore nel 66, sacerdote nel 72 e dottore in teologia nel 75.

L'università si trovava nel cortile del complesso. Le aule erano tutte al pianterreno. Gli studenti erano migliaia e turbolenti e Bruno era uno di questi. In quel luogo i domenicani si erano stabiliti nel 1231 con il compito di combattere gli eretici. Una missione che entrò nel vivo proprio nei turbolenti anni di Giordano Bruno, di Giambattista della Porta, di Tommaso Campanella e altre grandi personalità che tra il 500 e il 600 aprirono nuove frontiere al pensiero moderno.

Che fra' Giordano non fosse entrato fra i domenicani per tutelare l'ortodossia della fede cattolica apparve subito chiaro. Lo rivelò l'episodio narrato dallo stesso Bruno al processo nel quale il giovane novizio buttò via le immagini dei santi in suo possesso, conservando solo il crocefisso. A un novizio che leggeva la Historia delle sette allegrezze della Madonna, una modesta operetta devozionale, suggerì di gettar via quel libro, e di sostituirlo con lo studio della Vita de' santi Padri di Domenico Cavalca.

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L'infinita potenza divina non può produrre un mondo finito, teorizzava Bruno. Dall'infinità di Dio si evince l'infinità del cosmo, e quindi la pluralità dei mondi: senza più un centro, un corpo più denso dal quale si ascendesse ai corpi più fini e divini. A San Domenico, tra studi e letture frenetiche, il giovane domenicano coltivò le inquietudini che lo portarono a scontrarsi con i suoi superiori. Le accuse a suo carico si aggravarono quando si scoprì che era riuscito a procurarsi, leggendole di nascosto, alcune opere dello scandaloso Erasmo da Rotterdam, fautore di una profonda e radicale riforma della religiosità; libri proibiti dalla Chiesa cattolica fin dal 1559.

Ancora oggi, sono in molti a pensare che se il numero di eretici transitati per San Domenico Maggiore fu così alto, se la fascinazione esercitata da quelle mura fu così forte, questo si deve proprio alla straordinaria ricchezza della biblioteca del convento. L'antica Libraria, già nel Cinquecento, possedeva i manoscritti di Giovanni Pontano, il De arte amandi di Ovidio, le Epistole di Seneca e tantissimi classici da Senofonte ad Aristotele, da Cicerone a Tommaso d'Aquino, da Marsilio Ficino a Raimondo Lullo. Ma anche numerosi volumi che dopo il Cinquecento sarebbero finiti all'Indice. Su quei libri Giordano Bruno forgiò la propria cultura; la sua cella si trovava nell'area del chiostro oggi inglobata nell'istituto Casanova. Anni dopo, il filosofo abbandonò Napoli per iniziare un pellegrinaggio che lo avrebbe portato in giro per l'Europa.

Eccoli qui i luoghi della memoria. Il convento di San Domenico disponeva di tre chiostri: quello originario, il chiostro di San Tommaso, è adibito oggi a palestra dell'associazione sportiva Virtus Partenopea. Le celle di Giordano Bruno e degli altri novizi affacciavano invece sul chiostro grande, dove oggi gli studenti del Casanova svolgono le attività sportive. Poi c'è il chiostro piccolo, o delle statue, ed è quello da cui si accede al convento di San Domenico Maggiore. Il grande complesso religioso fece da incubatore anche delle idee di un altro domenicano ribelle, Tommaso Campanella. A Napoli, Campanella nato a Stilo, in Calabria, nel 1568 completò i suoi studi teologici e approfondì quelli di magia e occultismo; a Napoli pubblicò il libro che gli costò il primo processo, Philosophia sensibus demonstrata, che provocò scandalo nel convento di San Domenico: un domenicano che rifiuta Aristotele e san Tommaso per Telesio poteva mai essere un buon cattolico? E a Napoli, dove scrisse il suo capolavoro, la Città del Sole, Campanella rischiò di marcire in galera.

Destini incrociati, quelli di Bruno e Campanella. Anche per quest'ultino la magia era uno strumento di conoscenza; un modo per penetrare «l'universale animazione delle cose». Il suo desiderio di riforma una riforma universale di tipo magico-religioso fu soffocato con una lunga prigionia nelle segrete di Castel Sant'Elmo. Bruno e Campanella, nati a distanza di vent'anni l'uno dall'altro, si inseguirono a lungo, senza incrociarsi, nelle prigioni dell'Inquisizione romana. Tanto il primo quanto il secondo nutrirono il loro pensiero con il naturalismo meridionale e con lo studio della magia. Alle grandi utopie dei due domenicani eretici, alle loro visioni fantastiche e alle loro società ideali, si ispirarono tutti coloro che, nei decenni a venire, avrebbero cercato di fare del sapere nuovo e della filosofia uno strumento di riforma anche politica della realtà.

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«Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla» (Giordano Bruno rivolto ai giudici dell'Inquisizione).

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Nel 1547 i napoletani si ribellarono con violenza al tentativo di don Pedro di Toledo di introdurre l'Inquisizione spagnola. I tumulti scoppiati per evitare l'avvento dei tribunali ecclesiastici secondo il costume di Spagna videro in armi oltre 50.000 persone, ma nel mese di agosto dello stesso anno l'imperatore annullò il provvedimento e promulgò un'amnistia generale nei riguardi dei ribelli. Nonostante la fiera resistenza dei napoletani, molti esponenti della cultura di quel periodo - gli stessi che avrebbero aperto la strada al pensiero razionale moderno - non riuscirono a sottrarsi alla caccia alle streghe. Nel vicereame spagnolo la repressione, più che agli inquisitori, fu affidata soprattutto ai vescovi locali.


L'alchemico Rinascimento napoletano aprì nuove frontiere al pensiero moderno attirando sui filosofi (e sui filosofi-maghi) l'attenzione ostile delle autorità religiose. A San Domenico è sepolto uno degli inquisitori di Giordano Bruno, Ippolito Maria Beccaria. Professando un universo infinito, composto di un numero infinito di sistemi solari simili al nostro e sprovvisto di un centro, e per le sue convinzioni sulla Sacra Scrittura, sulla Trinità e sul cristianesimo, il grande filosofo nolano, già scomunicato, fu incarcerato, giudicato eretico e quindi condannato al rogo dall'Inquisizione della Chiesa cattolica. Fu arso vivo a Roma, in piazza Campo de' Fiori, il 17 febbraio 1600, durante il pontificato di Clemente VIII: con la lingua in giova, serrata da una mordacchia perché non potesse più parlare. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino