A Castel Capuano la più grande abbuffata della storia di Napoli

Luogo di potere e leggende nere, il Castello ospitava anche le estrazioni del gioco del lotto

A Castel Capuano la più grande abbuffata della storia di Napoli
«La prima volta che mi recai alla Vicaria credetti di essere uscito tardi di casa; le strade erano zeppe di avvocati che andavano a pranzo. Una folla enorme usciva dalla...

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«La prima volta che mi recai alla Vicaria credetti di essere uscito tardi di casa; le strade erano zeppe di avvocati che andavano a pranzo. Una folla enorme usciva dalla Vicaria e io credetti che il Tribunale si svuotasse. Invece, riuscito a penetrarvi, vi trovai lo stesso numero di gente che s'incontrerebbe ne' teatri di Londra la sera prima di una nuova rappresentazione! Benedetto paese, ove chi non è principe o pezzente è paglietta o prete».

(Samuel Sharp)

* * *

Nel giugno 2009, appena insediatosi alla presidenza della Corte d'Appello di Napoli, Antonio Buonajuto, uno di quei magistrati con il pallino della memoria (e perciò caro a questa pagina e ai suoi autori) sottolineò la necessità di promuovere un «movimento di opinione» per arrestare il progressivo degrado storico di Castel Capuano, perseguendo con accorti restauri il suo impianto originario, violato dalle orribili opere - tramezzi, divisori e sopraelevazioni - edificate nel corso di cinque secoli per le crescenti esigenze della Giustizia. A distanza di quattordici anni (dodici dalla nascita della Fondazione Castel Capuano) la missione può dirsi in larga parte compiuta. Ora il lavoro continua per fare della Fondazione un incubatore di legalità e del Castello un luogo di aggiornamento e di studio per i magistrati, con l'insediamento della sezione napoletana della Scuola Superiore della Magistratura. Castel Capuano è uno dei luoghi attraverso i quali passa lo spirito della città. È, dopo Castel dell'Ovo, il più antico Castello di Napoli: la sua costruzione fu avviata nel 1153 dall'architetto Buono per volere del re di Sicilia Guglielmo I detto il Malo, figlio di Ruggero il Normanno. Attraversare le sue stanze significa viaggiare a bordo di una macchina del tempo. Ed è un'esperienza avvincente: anche perché, come ripete spesso Buonajuto, quando si trascura il passato e si vive solo nel presente non v'è futuro che meriti di essere vissuto.

Frammenti di memoria. Ora raccolti in un prezioso volume («Castel Capuano: fra memoria e futuro nella città che cambia», edito da Rogiosi) e realizzato grazie al contributo di ventiquattro studiosi che hanno ripercorso la storia e le storie dell'antico Castello medievale, e della sua evoluzione da baluardo difensivo a Reggia, fino a diventare, negli anni del Vicereame, Palazzo di Giustizia della città, funzione mantenuta fino al trasferimento degli uffici giudiziari al Centro Direzionale.

 

Se in epoca angioina il Castello fu dimora di lusso dei sovrani di Napoli, in età aragonese divenne il nucleo centrale di una vera e propria Cittadella di cui facevano parte anche la Duchesca e la villa di Poggioreale. A quei tempi la corte si trastullava tra cerimonie, battute di caccia e ozi. E matrimoni da favola.

Prima portata: antipasto dolce. Pignolate (croccante con pinoli) in quattro (cioè in quattro piatti) con natte, una sorta di panna attonnata.

Seconda portata: insalata d'herbe: misticanza di erbe, in particolare amare come i lampascioni. Antipasto destinato a stimolare l'appetito.

Terza portata: Jelatina: brodo grasso fatto raffreddare e tagliato artisticamente.

Quarta portata - Lo bollito (bollito vario, in particolare di vitello) e biancomangiare con mostarda.

Quinta portata: Li coppi di picciuna: piccioni stufati e tagliati con arte dal trinciante.

Non proseguiamo oltre, rimandandovi al gustoso (letteralmente) saggio di Sergio Attanasio (Quando a Castel Capuano non c'erano le toghe) per il volume curato da Buonajuto. Vi diciamo però che le cinque di cui sopra sono solo le prime portate di uno dei più pantagruelici banchetti di tutti i tempi. Il 6 dicembre 1517 Castel Capuano fece da sfondo a quella che passerà agli annali come una delle più grandi abbuffate della storia della città: lo sfarzoso banchetto nuziale di Bona Sforza e Sigismondo I. Quel banchetto fu il canto del cigno della dinastia aragonese a Napoli: Bona era la figlia di Gian Galeazzo Sforza, duca di Milano, e di Isabella d'Aragona (figlia di re Alfonso II). Sigismondo era il re di Polonia: partì da Cracovia per venire a sposarsi a Napoli. La festa cominciò a piazza San Gaetano, poi il corteo degli invitati si avviò verso Castel Capuano. La preparazione della tavola e del banchetto richiese dieci giorni di lavoro e decorazioni a forma di barche, piramidi e teste d'uccello. Al centro della tavola fu allestita una grande fontana e per la regina preparato un baldacchino in tessuto veneziano. La tromba del Mastro di Cerimonia - o era la tromba del Giudizio Universale? - suonò alle 2 di notte e la festa si concluse alle 11 del giorno successivo, dopo una maratona di cibo e bevande in pieno stile rinascimentale. Ventinove portate per un totale di 1500 piatti diversi. Buon appetito a tutti.

 

Nel 1540 - erano gli anni di don Pedro de Toledo - il Castello divenne sede degli uffici (unificati) di ben sette preesistenti istituzioni giudiziarie. Nasceva il famigerato Palazzo della Vicaria, chiamato così perché il Vicario del Regno presiedeva alla funzione giudiziaria. Da dimora di re, regine e prìncipi a tempio della giustizia: un luogo sinistro, associato da sempre, nella memoria collettiva della città, a terribili punizioni e a leggende nere, come quella di Giuditta Guastamacchia, processata e impiccata alla Vicaria con l'accusa di aver irretito un chirurgo spingendolo ad assassinare il suo giovane marito smembrandone il corpo ed insaccandone i resti (nell'aprile del 1800 Giuditta fu impiccata insieme ai suoi complici in via dei Tribunali e le teste mozzate degli assassini furono esposte sulle mura della Vicaria). Ma già da tempo, sin dalla fondazione, il Tribunale della Vicaria evocava spettri, castighi e sofferenze. Nel 1547, detenuto presso le carceri della Gran Corte, il poeta Galeazzo da Tarsia, barone di Belmonte, dedicò a Castel Capuano una poesia terribile e struggente:

O felice di mille e mille amanti
Diporto, e di reali donne diletto,
Albergo memorabile ed eletto
A diversi piacer quest'anni avanti
Or di paura d'ira e di sospetto
D'odio, di crudeltà solo ti vanti

 

Agli anni Quaranta del 500 risale una delle testimonianze artistiche più importanti di Castel Capuano: la grande aquila bicefala, stemma della casa reale di Spagna, simbolo del potere di Carlo V e dell'impero dove il sole non tramontava mai. Sotto le ali, gli stemmi araldici di don Pedro, il nostro monumentale viceré, mentre a fiancheggiare l'aquila una doppia coppia di Colonne d'Ercole, con il motto PLUS ULTRA, a celebrare le imprese di Carlo V, che nel novembre 1535 era entrato a Napoli in sella a un cavallo ornato con oro e perle.

Non solo luogo di potere e di leggende nere. Il Castello ospitava le estrazioni del gioco del lotto, nato a Genova ma diffusosi soprattutto a Napoli. All'estrazione dei numeri dai relativi bussolotti era destinato un orfanello bendato che vi provvedeva nella sala grande dell'edificio alla presenza dei giudici della Gran Corte e di altri nobili personaggi, e che i numeri vincenti erano gridati da uno scrivano alla folla vociante che sostava in attesa fuori dal palazzo e nel cortile sottostante: le vicende di questa lotteria e i trucchi organizzati per carpire le vincite sono raccontati nel bel romanzo La vicaria di Vladimiro Bottone (Rizzoli, 2015). «Il cortile - come ricorda Buonajuto nell'introduzione al volume - non era frequentato soltanto da lazzari, paglietti in cerca di clienti, affaristi e curiosi avidi di emozioni, ma era anche un luogo d'incontro tra forensi illuminati, impegnati nella contestazione del diritto comune, fondamento del sistema feudale, e nell'opposizione al tentativo di introdurre a Napoli la peggiore Inquisizione, quella di rito spagnolo». 

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Il Mattino