Pitagora e il teorema dell'armonia perfetta: il segreto di Neapolis

Pitagora e il teorema dell'armonia perfetta: il segreto di Neapolis
«Uomo che ami parlare molto: ascolta e diventerai simile al saggio. L'inizio della saggezza è il silenzio» ...

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«Uomo che ami parlare molto: ascolta e diventerai simile al saggio. L'inizio della saggezza è il silenzio»

(Pitagora)
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Passeggiando per Forcella - e più esattamente nel tratto dove la strada principale del quartiere si biforca assumendo l'aspetto, inconfondibile, di una Y - non si può fare a meno di notare quanto Napoli rechi fin nel tracciato delle strade, nel segno urbanistico, le stigmate del suo passato. Dovremmo inchinarci tutti di fronte alla straordinaria sapienza degli urbanisti e degli architetti di un tempo. È noto come il nucleo originale di Neapolis - la città nuova, quella che ridusse a un sobborgo la mitica, cara e vecchia Palepoli, la città vecchia - si snodi attorno a un'idea di ripartizione geometrica degli spazi. Ed è tutt'altro che leggendaria la tesi secondo cui la fondazione della città avrebbe avuto un'ispirazione pitagorica, dal nome del grande maestro di Samo. «Napoli - come spiega Maurizio Ponticello, autore di numerosi studi dedicati alla città antica e misterica - ha più di un punto in comune con Pitagora. La Scuola Pitagorica aveva una sede nella città nuova, nella zona di Forcella che, proprio dalla Y alla greca, e cioè dal suo segno grafico a forma di forcina, prese realisticamente il nome». I geniali adepti della Scuola, che sorgeva tra i vicoli dei Decumani, erano convinti che quella lettera dell'alfabeto rappresentasse la perfezione assoluta. La Y era un simbolo risalente ad antiche tradizioni sapienziali, utilizzato in particolare dalla Scuola Pitagorica per indicare il bivio ideale tra gli opposti sentieri iniziatici del vizio e della virtù. Secondo la tradizione, inoltre, ripresa anche da Petrarca, la lettera Y sarebbe stata aggiunta all'alfabeto proprio dal filosofo di Samo, il grande Pitagora.
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I recenti studi archeologici, e in particolare quelli condotti dalla Soprintendenza archeologica sui reperti rinvenuti nel circuito murario lungo il tratto nordorientale della città, hanno consentito di retrodatare l'origine di Neapolis dal 470 a.C. (come vuole la tradizione) all'ultimo quarto del VI secolo a.C. (tra il 525 e il 510 a.C.). Perché questa retrodatazione è così importante? Perché riporta la fondazione della città nuova a un periodo storico in cui nell'Italia meridionale operavano Pitagora e i suoi seguaci. Il filosofo era arrivato in Italia quarantenne, nel pieno della maturità, dall'isola jonica di Samo, o Samos. Attorno alla sua Scuola si svilupparono molte conoscenze, soprattutto matematiche. Il pensiero di Pitagora è ancora oggi considerato fondamentale per lo sviluppo della scienza occidentale: il genio di Samo fu il primo a intuire l'efficacia della matematica per descrivere il mondo.

Dunque Neapolis viene fondata nella Magna Grecia in un periodo nel quale fiorivano nuovi studi e nuove scoperte sulla geometria, sulla matematica, sul rapporto tra i numeri, sull'astronomia, sulla musica e sull'armonia musicale. Fu Pitagora il primo a intuire che le regole della geometria e della matematica potevano essere utilizzate anche per la comprensione delle leggi che governano l'universo. È in questa cornice, così misteriosa e affascinante, che si sviluppano gli studi sulle origini pitagoriche dell'urbanistica di Napoli. Studi che hanno fatto notevoli passi in avanti negli ultimi anni grazie alle nuove indagini effettuate sulle Mura Greche della città. Tra gli studiosi che hanno dato il maggior contributo allo sviluppo di queste ricerche va citata sicuramente l'architetto Teresa Tauro, natali pugliesi e studi universitari federiciani, autrice di numerose conferenze sul disegno geometrico, di matrice pitagorica, attorno al quale sarebbe sorta, 2500 anni or sono, la nuova città. Un lungo studio sviluppatosi a partire dal libro Alle origini dell'urbanistica di Napoli (Pandemos Editore) scritto dalla Tauro a quattro mani con il contributo scientifico di Fausto Longo, docente di Archeologia e Storia dell'arte greca e romana all'Università degli Studi di Salerno.

Spiega la Tauro: «Abbiamo osservato che i brandelli delle mura della città antica tracciavano un circolo con un grande quadrato centrale di circa 380 metri di lato e con il Tempio dei Dioscuri al centro». Il quadrato era a sua volta suddiviso dalla plateia centrale di via dei Tribunali, ex plateia Augustalis, in due rettangoli uguali, di lati proporzionali 1/2, di cui quello inferiore ulteriormente ripartito in due quadrati dall'asse di via San Gregorio Armeno, ex plateia Nustriana. Questi moduli quadrati più piccoli potevano contenere fino a 5 isolati rettangolari ciascuno».

Dietro la costruzione di Neapolis si nasconde un'operazione geometrica di ripartizione degli spazi? Pare proprio di sì. E tale operazione si baserebbe sulle figure del cerchio e del quadrato, ovvero sul principio geometrico della sezione aurea, la proporzione divina, ideale di bellezza e di armonia.
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Il grande quadrato urbano, con al centro il tempio dei Dioscuri (divinità fondamentali del Pantheon cittadino assieme ad Apollo e a Demetra) è infatti inscritto in un cerchio non solo ideale ma anche reale, dal momento che gli corrisponde l'antica cinta muraria della città. Cinta di cui restano, sparse qua e là, numerose tracce, come quelle ancora visibili presso le rampe Maria Longo, dietro piazza Cavour.

«Non ci è dato conoscere i confini esatti dell'agorà partenopea - spiega Ponticello - ma è certo che il punto nodale fosse davanti al grande tempio di Castore e Polluce dal quale gli dèi intermedi sorvegliavano e benedicevano il quadrivio di forma geometrica che interrompe la platèia centrale (il decumano maggiore, o via Tribunali). A più riprese, gli archeologi si sono cimentati nella misurazione delle strade antiche e nella ricostruzione degli isolati fino ad arrivare a identificare le insulae in un rapporto costante di 1 a 5 (vedi Maurizio Ponticello, Napoli velata e sconosciuta).

La tesi secondo cui la fondazione della città avrebbe avuto un'ispirazione pitagorica, dunque, continua ad appassionare studiosi, architetti, urbanisti. D'altra parte, all'impianto della Neapolis greco-romana si sarebbe ispirato anche il grande Vitruvio, l'architetto e scrittore romano attivo nella seconda metà del I secolo a.C., considerato uno dei più famosi teorici dell'architettura di tutti i tempi. Così come Leonardo da Vinci disegnò il suo uomo vitruviano a partire dagli studi condotti da Vitruvio sulle proporzioni del corpo umano, allo stesso modo Vitruvio prese a modello la perfezione geometrica dell'impianto urbanistico neapolitano per descrivere la sua «città ideale». Prova ne sarebbero due dei centotrentasei disegni realizzati in xilografia dal famoso urbanista, architetto e ingegnere Fra' Giocondo da Verona, presente a Napoli alla corte di Alfonso II d'Aragona tra il 1489 e il 1493, per l'edizione illustrata veneziana del famoso trattato di Vitruvio De Architectura. La storia ha dell'incredibile e ad occuparsene, come ricorda anche lo studioso Cesare De Seta nel suo libro Napoli, fu già a suo tempo il grande storico dell'arte Gustav Hamberg. (Vedi anche L'Uovo di Virgilio del 29/4/2016).


Eccola, la Città Nuova dei nostri avi, l'ombelico del mondo - l'omphalòs - dei padri fondatori. Una costruzione rigorosamente geometrica, armonica e proporzionale. Dalla grande forma circolare, con un grande quadrato centrale inscritto all'interno, il Tempio dei Dioscuri al centro e le colline a circondare il pianoro. Un preciso disegno fondativo dinanzi alla cui armonia non possiamo far altro che inchinarci, nonostante il tempo presente, con i suoi sfinimenti, faccia di tutto per guastarcene la memoria. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino